Crescita, progresso e bilanci

Il 18 Marzo 1968, presso l’Università del Kansas, Robert Kennedy pronunciò un discorso nel quale tra gli altri argomenti evidenziava l’inadeguatezza del prodotto interno lordo (PIL) come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. Tre mesi dopo venne ucciso durante la campagna elettorale che lo avrebbe probabilmente portato a diventare Presidente degli Stati Uniti d’America.

Qui di seguito un estratto del suo discorso del 1968:

” Ormai da troppo tempo sembriamo trascurare i valori individuali e quelli collettivi a favore del semplice accumulo di beni materiali.

Oggi il nostro prodotto interno lordo supera gli 800 miliardi di dollari l’anno. Ma se vogliamo giudicare gli Stati Uniti da quello, dobbiamo tenere presente che il prodotto interno lordo include l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per ripulire le nostre strade dalle carneficine.

Calcola le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che le forzano. Tiene conto della distruzione delle sequoie e della scomparsa delle meraviglie della natura dovute alla crescita selvaggia. Include il napalm, le testate nucleari, e i mezzi blindati usati dalla polizia per sedare le rivolte nelle nostre città. Tiene conto dei fucili e dei coltelli dei criminali, e dei programmi televisivi che glorificano la violenza, per poi vendere giocattoli violenti ai nostri bambini.

Il prodotto interno lordo non calcola però la salute dei nostri figli, la qualità della loro educazione, o l’allegria dei loro giochi. Non tiene conto della bellezza della nostra poesia, della solidità delle nostre famiglie, dell’intelligenza del dibattito pubblico, o dell’onestà dei nostri governanti. Non misura nè la nostra intelligenza nè il nostro coraggio, nè la nostra saggezza nè la nostra conoscenza, nè la nostra compassione nè la devozione per il nostro paese.

Misura di tutto, in breve, tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”

Sul tema del rapporto tra consumo materiale e benessere economico, sono estremamente significativi i dati di uno studio realizzato da un team di ricercatori statunitensi, australiani e britannici, che è stato pubblicato nel 2013 su Ecological Economics: in questa ricerca vengono analizzate le stime del PIL tra il 1950 e il 2003, per 17 paesi (Australia, Austria, Belgio, Cile, Cina, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Italia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Svezia, Thailandia, Usa e Vietnam) nei quali vive il 53% della popolazione mondiale, e che messi insieme producono il 59% del PIL planetario. La conclusione è che, mentre il prodotto interno lordo mondiale è più che triplicato dal 1950, il benessere economico, così come stimato dal GPI (Genuine Progress Indicator, ovvero Indice di Progresso Autentico), è in realtà diminuito a partire dal 1978: in sostanza, già da 35 anni i costi della crescita economica hanno superato i vantaggi da essa apportati.

Il picco del benessere (1978) coincide, tra l’altro, con il momento in cui l’impronta ecologica dell’umanità (ovvero i consumi mondiali della popolazione) ha raggiunto, e poi iniziato progressivamente a superare la biocapacità del pianeta (ovvero la capacità naturale della Terra di rigenerare le risorse consumate). Oggi la specie umana preleva annualmente il 60% in più di quanto il pianeta riesce a riprodurre.

Nel 2019 il bilancio ecologico annuale del pianeta è andato in passivo (Earth Overshoot Day) dopo la data del 29 luglio, nei giorni successivi le risorse consumate causano gravi conseguenze sulla vitalità e gli equilibri degli ecosistemi e sulla stabilità di tutto il Pianeta.

Gabriele Porrati, Presidente della Cooperativa Onlus Cambiamo e Yuri Galletti, Presidente di Semi di Scienza.

Dicembre 3, 2019

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