Instabilità di luce: perché sono importanti

Siamo sovente abituati a considerare l’instabilità come un fatto negativo: instabilità economica, instabilità mentale, instabilità geopolitica non ci fanno certo pensare ad una situazione desiderabile. Ancor meno l’instabilità di opere d’ingegneria, come per esempio una casa, un palazzo od un ponte, del programma di un computer o che dire di quella dell’ala di un aereo? Consideriamo tali oggetti in grado di assolvere alla funzione per cui sono stati costruiti proprio in virtù della loro robustezza e della loro stabilità rispetto ad influssi indesiderati e che si possono manifestare senza il nostro controllo. Speriamo ardentemente che perturbazioni esterne agenti sull’oggetto vengano smorzate ed in qualche modo neutralizzate evitando che le sue funzionalità vengano pregiudicate o ancor peggio che il nostro ponte, la nostra casa o quant’altro vadano in frantumi. Lo stesso si potrebbe pensare di una sorgente luminosa progettata per un utilizzo ben preciso, vorremmo in genere che l’intensità della luce non fluttui significativamente nel tempo o non cambi drasticamente al minimo variare della temperatura, della tensione della corrente elettrica o di vibrazioni sonore dovute alle voci di persone o a rumori presenti nella stanza. Ci sembrerebbe quindi che in generale l’instabilità di sistemi meccanici o anche di strutture sociali (ammesso che esse funzionino bene ed in maniera efficiente) possa essere una condizione non desiderabile. Le instabilità sono state, da ormai più di un secolo, l’oggetto dell’interesse degli scienziati che le hanno studiate in molteplici situazioni: nei fluidi, nei plasmi, in sistemi meccanici di vario tipo, in sistemi biologici, chimici e ottici. Praticamente, ogni sistema esistente in natura è soggetto a perturbazioni di vario genere causate dall’ambiente circostante, e tali perturbazioni se si amplificano possono portare all’instabilità dello stato originario del sistema in questione, causandone drammatici cambiamenti qualitativi. Lo studio delle instabilità è di grande interesse e le instabilità sono ritenute essere la base di innumerevoli fenomeni importanti, come per esempio la formazione di onde anomale negli oceani giusto per citarne uno.

Vorrei ora descriver brevemente alcune situazioni peculiari in cui il contesto laddove l’instabilità si manifesta non è da evitarsi, bensì da ricercarsi: situazioni in cui la stabilità è sorprendentemente un impedimento allo sviluppo di funzionalità tecnologicamente utili. Lo farò illustrando un paio di semplici esempi tratti dalla fisica dell’ottica non lineare. Prima di iniziare è bene fare una precisazione: mentre è palese che l’ottica sia la scienza che studia i fenomeni luminosi, il significato di “non lineare” potrebbe essere ben più oscuro ad un pubblico di non addetti ai lavori. L’elucidazione di cosa significhi “non lineare” in questo contesto richiederebbe sicuramente un approfondimento dedicato. Basti per ora dire che un mezzo materiale non lineare ha una risposta alla luce che vi propaga attraverso che è proporzionale al quadrato, al cubo (o ad altre potenze superiori) dell’ampiezza dell’onda luminosa stessa.  Un mezzo che si comporta in modo lineare ha invece una risposta semplicemente proporzionale all’ampiezza stessa dell’onda. La non linearità è alla base dei processi di generazione di nuove frequenze luminose, del funzionamento dei laser e di altri affascinanti fenomeni. In genere tali effetti non lineari sono deboli e richiedono grande intensità della luce per manifestarsi, ma quando si manifestano aprono le porte a dinamiche nuove ed inaspettate.

Ma, torniamo a noi. Il primo esempio è il seguente: consideriamo un’onda luminosa che si propaga lungo una fibra ottica. Una fibra ottica è un tubicino fatto di un particolare vetro dal diametro inferiore al millimetro che guida la luce e la mantiene confinata, grazie al fenomeno della riflessione totale interna, per distanze di propagazione che possono andare da parecchie decine a parecchie centinaia di kilometri. Di fatto, una fitta rete di fibre ottiche interconnesse sulla terra e sotto gli oceani, costituisce lo scheletro dell’intera infrastruttura di internet. Consideriamo per il momento, invece delle fibre lunghe molte decine di kilometri usate per le telecomunicazioni, una fibra lunga qualche decina di metri, e ad un capo della fibra iniettiamo un’onda di luce di una singola frequenza, un singolo colore se vogliamo (anche se in genere la radiazione elettromagnetica usata è nella parte del vicino infrarosso dello spettro). Se la fibra ha certe particolari proprietà (in gergo tecnico si dice che la dispersione cromatica è anomala, il che corrisponde a dire che onde di luce a frequenza più alta viaggiano a velocità maggiore di quelle a frequenza più bassa) e se la potenza dell’onda iniettata è sufficientemente elevata allora l’onda luminosa che osserviamo all’altro capo della fibra esibirà, a causa della non linearità, proprietà qualitativamente nuove e diverse da quelle che aveva all’ingresso. L’ampiezza dell’onda all’uscita dalla fibra non è più costante ma al contrario presenta delle notevoli variazioni che possono essere periodiche e regolari o anche alquanto irregolari ed erratiche a seconda delle condizioni in cui si svolge il processo. L’onda originaria è instabile, piccole perturbazioni, ondine che al capo iniziale della fibra avevano ampiezza irrilevante, sono cresciute notevolmente sottraendo energia dall’onda principale fino a modificarne qualitativamente la forma.

Tale processo è chiamato instabilità di modulazione. Esso è un fenomeno reso possibile dalla non linearità della risposta della fibra! Ora si potrebbe pensare che tale processo d’instabilità sia dannoso per il funzionamento di un dispositivo in cui si vuole l’onda di luce propagante rimanga invariata. Questa è sicuramente un’osservazione giustificata. Ma guardiamo la situazione da un’altra prospettiva: se l’onda primaria perde energia, le perturbazioni (onde oscillanti ad altre frequenze) la acquistano. Questa è la risorsa che possiamo sfruttare! Un’analisi matematica del problema ci permette di calcolare quanta energia guadagnano le piccole onde (il guadagno dell’instabilità), per lo meno nello stato iniziale della loro amplificazione, in funzione dei parametri che caratterizzano la fibra e l’onda primaria.

Ma, come possiamo rendere utile questo guadagno per le onde di piccola ampiezza? Se invece di lasciare che delle onde arbitrarie, iniziate da fluttuazioni quantistiche o da rumore ottico vengano amplificate nel processo di instabilità, possiamo invece iniettare noi all’ingresso della fibra oltre all’onda primaria (anche detta onda di pompa), delle onde di frequenza diversa, la cui energia è molto minore e che vogliamo amplificare. Un candidato ideale sono i segnali ottici che vengono usati per trasmettere informazione. Essi costituiranno il “seme” da cui si svilupperà l’instabilità dell’onda primaria assorbendone parte dell’energia, ed emergendo amplificate all’uscita della fibra.

I segnali ottici usati nelle telecomunicazioni in fibra consistono infatti di vari “canali”, ciascuno corrispondente ad una diversa frequenza, che propagano nelle fibre consentendo la trasmissione di informazione in parallelo. La crescente domanda di maggiore informazione da trasportare in fibra dovuta all’incremento dell’uso di internet nelle moderne società interconnesse richiede la continua aggiunta di nuovi canali (nuove frequenze). Questo però va ad aumentare la banda totale occupata dai segnali: l’aumento della banda è pressoché inevitabile, in quanto al momento non è possibile inviare segnali eccessivamente vicini in frequenza riducendo troppo lo spazio tra i canali. A causa delle perdite di energia che la luce subisce propagando lungo le fibre ottiche, si rende necessaria un’amplificazione periodica dei segnali lungo la linea di trasmissione. Gli amplificatori in fibra ad Erbio attualmente in uso, la cui invenzione ha permesso l’esistenza di internet per come lo conosciamo, possono amplificare segnali solo in una certa banda di frequenze. I ricercatori del settore lavorano alacremente per trovare soluzioni alternative. Una delle soluzioni più promettenti si basa appunto sull’instabilità di modulazione appena descritta e, sebbene questa sia ancora in fase di sviluppo a livello di ricerca ed ancora lontana dall’impiego tecnologico, ha già dimostrato di poter provvedere all’amplificazione di segnali ottici consentendo la trasmissione dell’informazione per migliaia di kilometri. Tale nuovo tipo di amplificatore è chiamato amplificatore parametrico in fibra ottica. Quindi, a partire da un semplice fenomeno fisico che comporta l’instabilità di un’onda di luce si è sviluppato un nuovo concetto tecnologico che potrebbe avere impatto rilevante nella società. Tanto è vero che i ricercatori al lavoro in questo campo studiano ora le condizioni per ingegnerizzare l’instabilità al fine di renderla il più possibile performante per i loro scopi: ottenere un trasferimento di energia significativo e omogeneo in una vasta banda di frequenze. Il paradigma dell’instabilità come effetto indesiderato è così rovesciato.

Passiamo ora al secondo esempio. Un altro caso particolarmente interessante dell’instabilità di modulazione è quello in cui luce a singola frequenza viene iniettata in un microrisuonatore ottico, ovvero una cavità tipicamente a forma di anello fatta di silice oppure di un materiale semiconduttore in cui la luce è ben confinata ed i fotoni possono circolare migliaia e migliaia di volte prima di fuoriuscire. La grande quantità di energia immagazzinata corrispondente ad un onda luminosa oscillante con una singola frequenza è tale da creare le condizioni, a causa della risposta non lineare del materiale, per un’instabilità dell’onda luminosa stessa. Tale onda si destabilizza amplificando altre onde di aventi frequenze differenti (altri “colori”) le quali inizialmente altro non erano che perturbazioni di ampiezza insignificante causate da fluttuazioni del vuoto quantisitico o da rumore ottico presente nel sistema. L’onda originaria vede la sua ampiezza modulata da onde differenti, ma equispaziate in termine di frequenza, che vengono amplificate; ed ecco che molte delle risonanze ottiche della cavità vengono eccitate. La luce all’interno della cavità da monocromatica è diventata policromatica. È importante menzionare il fatto che una cavità ottica supporta solamente oscillazioni che sono il multiplo intero di una frequenza fondamentale, e che quindi le onde luminose che possono risuonare nella cavità sono equispaziate in frequenza.

A causa del peculiare processo coinvolto in questa instabilità le onde di varie frequenze equispaziate oscillano in fase tra di loro (ovvero rispettando una certa sincronia): una luce con questo tipo di spettro di frequenza è chiamato pettine di frequenza. I pettini di frequenza hanno notevoli applicazioni e vengono o potrebbero in un vicino futuro essere usati in molteplici contesti, tra cui la spettroscopia di precisione, la misurazione remota di gas serra, la ricerca di esopianeti (pianeti esterni al nostro sistema solare), come orologi ottici ben più precisi degli esistenti orologi atomici ed altre ancora.

Per concludere, diciamo quindi che non tutte le instabilità vengono per nuocere e che anzi, al di là del loro intrinseco fascino scientifico, esse possono costituire una preziosa e inaspettata risorsa a cui attingere per la realizzazione di nuovi dispositivi ottici con notevoli ricadute pratiche. Gli esempi che abbiamo discusso, mostrano anche come argomenti di ricerca apparentemente accademici il cui studio è inizialmente perseguito per puro piacere o curiosità scientifica possano, per vie inaspettate, diventare materialmente utili per la società.

Auro M. Perego, PhD, è ricercatore presso l’Aston Institute of Photonic Technologies, Aston University, Birmingham, Regno Unito.

Indirizzo email: a.perego1@aston.ac.uk

Sito internet: www.nonlinearlight.com

Twitter account: @nonlinearlight

Dicembre 16, 2019

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