Scienza, donne e stereotipi
Per le donne la vita in ambito scientifico (e lavorativo in genere, ma qui focalizziamo l’attenzione sulle STEM) è molto più difficile che per gli uomini. Questa affermazione si può sviluppare in molti modi: tra i più diffusi vi è quello, sostenuto purtroppo da molti, che le donne siano meno portate al ragionamento scientifico. Niente di più sbagliato, come sarà evidente a chi vorrà leggere fino in fondo.
Le difficoltà incontrate dalle donne sono il frutto di una serie di cause, che comprendono uno stereotipo ben radicato, una discriminazione attiva (a volte anche inconscia, ma sempre reale), un sistema ‘tarato’ sulla competitività (più congeniale all’atteggiamento maschile che a quello femminile) e un ambiente spesso ostile, senza dimenticare le molestie sessuali. Analizzare a fondo ciascuno di questi aspetti richiederebbe ben altro che un articolo, ma colgo volentieri l’occasione per gettare qualche Seme di coScienza di genere, che mi auguro trovi terreno fertile per favorire il cambiamento di cui non le donne ma la società tutta ha bisogno.
Stereotipi:
Il modello della donna come ‘angelo del focolare’ è oramai superato, tuttavia resta forte l’immagine dell’uomo in ruoli importanti (ingegnere, direttore, chirurgo, presidente ecc.) e la donna in ruoli di servizio: segretaria, infermiera, parrucchiera ecc. Esposte a questi modelli fin da piccole, le bambine e le ragazze non sentono come ‘appropriato’ un interesse per gli argomenti scientifici. Si tratta di uno stereotipo molto antico e radicato, e fortemente sostenuto dai modelli proposti in TV, dai giochi, dai social media e in molte istituzioni (la maestra e il preside), se non direttamente nelle famiglie. Per questo motivo è molto difficile da scardinare, e proprio per questo motivo richiede uno sforzo maggiore da parte di chi è consapevole di quanto lo stereotipo sia dannoso. Dare ampio spazio, risorse e visibilità, e conferire ruoli importanti alle molte donne che operano in ambiente scientifico sarebbe un buon modo per convogliare l’idea che ‘anche le donne possono’. Anche i mezzi di comunicazione di massa (giornali riviste e TV), dovrebbero contribuire, intervistando le molte ricercatrici e non solo i soliti ricercatori noti. A questo scopo esiste una lista (https://100esperte.it/ ), che purtroppo non sembra molto sfruttata dai nostri media.
Discriminazione: Risultato diretto degli stereotipi, è la discriminazione che le donne subiscono: se in fondo alla nostra mente c’è la convinzione che una donna non sia adatta a ricoprire ruoli scientifici, e men che meno di dirigenza, quando siamo chiamati a valutare i candidati e le candidate per un assegno di ricerca, per un concorso, per un’intervista, per una promozione o per giudicare un suo articolo, favoriremo sempre gli uomini. La discriminazione è spesso inconscia: crediamo di esserne immuni, di valutare solo su basi scientifiche e di merito, senza renderci conto del nostro bias. Provare per credere! Un gruppo di ricercatori di Harvard ha messo a punto una serie di test (https://implicit.harvard.edu/implicit) con cui misurare i nostri implicit bias, cioè le associazioni automatiche che in qualche misura guidano le nostre scelte. I test sono disponibili anche in italiano, al sito https://implicit.harvard.edu/implicit/italy/
Anche se tra chi legge queste righe ci sono persone in cui l’associazione tra materie scientifiche e genere è neutra, o addirittura sbilanciata verso il femminile, oltre la metà della popolazione mostra sbilanciamento nel senso opposto, il che spiega la discriminazione a cui le donne e le ragazze sono sistematicamente sottoposte. Si dice che per raggiungere gli stessi riconoscimenti di un uomo, una dona deve essere almeno tre volte più brava: vogliamo fare uno sforzo e ridurre questo numero? Prendere coscienza della propria tendenza discriminatoria (ovvero accettare il responso del test), è il primo passo verso il superamento.
Competizione: Sono ormai molti anni (ma non è sempre stato così), che praticamente ad ogni passaggio della carriera scientifica, siamo chiamate/i ad una ‘competizione’: per vincere un premio, una borsa di studio, un concorso, un finanziamento, una promozione… Una mia amica insegnante di matematica e scienze in una scuola superiore racconta di come reagisce una classe di fronte alle olimpiadi di matematica. Se l’insegnante entrando in classe dice: ‘Ci sono le olimpiadi, chi vuole partecipare?’, il risultato immediato è di alcune mani alzate, quasi tutte di ragazzi. Se invece dice: ‘Dobbiamo mandare tre di voi alle olimpiadi, in rappresentanza della classe: chi dovrebbe andare?’, quel che segue è una valutazione su chi siano i più bravi, indipendentemente dal genere, e spesso le ragazze sono incluse, se non prevalenti. Le differenze di comportamento legate al genere sono ormai radicate negli adolescenti, e i ragazzi hanno, più delle ragazze, la tendenza a farsi avanti, a vantare doti (che possono avere o anche no), e ad affrontare rischi. La tendenza spontanea e immediata verso la competizione è invece molto limitata nelle ragazze, un carattere che rimane anche in età adulta. Si vede dunque che l’enfasi sulla competitività è intrinsecamente più favorevole agli uomini: sembra che quello scientifico sia un mondo creato dagli uomini per gli uomini, non dobbiamo quindi stupirci se le donne finiscono per uscirne in buona misura. Si potrebbe anche aggiungere la questione del nepotismo, del ruolo delle amicizie, magari maturate sui campi di calcio, o di altre forme di condivisione di interessi e via dicendo. Il risultato netto è la ben nota ‘forbice’, che vede il numero di donne diminuire lungo tutta la scala, per arrivare a numeri irrisori ai vertici.
Molestie: Il movimento #MeToo, partito dal mondo dello spettacolo, ha investito in breve tempo anche quello accademico e scientifico, e, oltre a far emergere alcuni casi eclatanti, ha stimolato una serie di ricerche, la più nota delle quali ha rivelato che in ambiente accademico il 58% delle donne ha subito qualche forma di molestia . E’ forse opportuno richiamare la definizione[ref]: si riconoscono tre categorie di comportamenti molesti, 1. molestie di genere: comportamenti verbali e non verbali che trasmettono senso di ostilità, oggettivazione, esclusione o stato di inferiorità alle persone di un genere, 2. attenzioni sessuali non desiderate: avances e allusioni verbali o fisiche, dallo sfioramento allo stupro, 3. ricatto sessuale: quando un risultato favorevole in ambito educativo o lavorativo viene ‘venduto’ o è condizionato in cambio di favori sessuali.
Comportamenti molesti possono essere diretti (rivolti direttamente ad una persona) o indiretti (quando vi è un livello generale di molestia in un ambiente, per esempio con poster di donne svestite alle pareti). In Italia non abbiamo eseguito studi approfonditi, ma non c’è ragione di ritenere che la situazione sia molto diversa. Quello che manca è una cultura che respinga le molestie, che sono spesso tentativi di esercitare un potere, e infatti nella grande maggioranza dei casi sono esercitate da persone di livello superiore. Un aspetto da non sottovalutare è quello relativo alle molte forme di micro-aggressioni, cioè quegli atteggiamenti che, senza essere esplicitamente diretti contro una donna, contribuiscono a rendere l’ambiente meno accogliente: si va dalle considerazioni generali (e sessiste) sulle capacità o le caratteristiche delle donne, alle barzellette, ai disegni nei bagni.
A questo proposito, si può rilevare che, quando si verificano situazioni di molestie, a qualsiasi livello, oltre al responsabile e alla sua vittima, quasi sempre sono coinvolte altre persone: per questo è importante sensibilizzare tutti, e in particolare gli uomini, che spesso preferiscono far finta di non vedere, o si compiacciono dei ‘successi’ propri e dei colleghi, o magari ci ridono sopra, contribuendo quindi ad alimentare il disagio delle vittime di turno.
In Conclusione: Una presenza egualitaria di donne e uomini (incluse tutte le forme intermedie) in ambito scientifico è ancora lungi dall’essere raggiunta. Tuttavia alcuni passi avanti sono stati fatti, a costo di battaglie e sacrifici da parte di molte. Siamo oggi in una situazione migliore rispetto a quella delle nostre antenate, basti pensare a figure quali Marie Swodolska Curie, a Rosalind Franklin, o a Jocelyn Burnett Bell, ma la strada è ancora lunga, e non possiamo ancora dire che le nostre figlie e nipoti avranno vita facile: anche a loro toccherà continuare a sostenere le ragioni di un mondo (accademico-scientifico e oltre) in cui donne e uomini siano ugualmente in grado di condurre una vita scientifica dettata dal proprio interesse, e non dal proprio genere. In questo, un passo avanti sarà compiuto quando anche gli uomini si renderanno conto che una società senza pregiudizi contro le donne è una società più giusta, e si uniranno alla nostra battaglia, senza considerarla ‘cosa da femmine’.
Ref: National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine. 2018. Sexual Harassment of Women: Climate, Culture, and Consequences in Academic Sciences, Engineering, and Medicine. Washington, DC: The National Academies Press. doi: https://doi.org/10.17226/24994
Di: Monica Zoppè, Istituto di BioFisica CNR, Milano, e Associazione Donne e Scienza.
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