Macchine del tempo danesi

di Luciano Celi – direttivo di Semi di Scienza

Se si entra nella sobria chiesa principale di Vejle, in Danimarca, dotati di un traduttore danese-italiano – a meno di un conoscere a sufficienza il danese – si può trovare la storia della (presunta) regina Gunhild (o Gunnhild). La storia narra di una bara, donata da re Frederik VI (1768-1839), nella quale si pensava che il cadavere in essa contenuto (in ottimo stato di conservazione), fosse quello della leggendaria regina norvegese Gunhild, attirata in Danimarca e uccisa da Aroldo “Dente Azzurro” (letteralmente: Bluetooth – che a noi moderni evoca tutt’altro). Si tratta di storie che sconfinano nella mitologia nordica, ma la leggenda a lungo è stata più forte della scienza: il famoso archeologo J.J.A. Worsaae (1821-1885) infatti ha presto smentito l’idea che si trattasse della semi-mitica regina Grunnhild facendo risalire però il cadavere stesso all’Età del Ferro – quindi a ben prima! – mostrando così tacitamente le eccezionali capacità di conservazione delle torbiere caratteristiche di quelle zone. Vere e proprie “macchine del tempo” in grado di restituire prodotti e manufatti risalenti a millenni prima. La scoperta risale al 20 ottobre 1835, momento in cui due scavatori di torba a Haraldskaær Mose, a ovest di Vejle, fecero questa scoperta straordinaria: un corpo femminile estremamente ben conservato. All’inizio si pensava che il corpo fosse la vittima nascosta di un crimine recente, ma ben presto le indagini indicarono che ciò con cui gli inquirenti avevano a che fare era molto più antico di quanto si pensasse. Tale scoperta fece scalpore non solo nella storia locale, ma anche nella coscienza nazionale.

Quella stessa torba verrebbe da dire, salva i protagonisti di una vecchia pellicola, sempre danese. Si tratta di Miraklet i Valby, “Il miracolo di Valby”, che passò sui canali televisivi italiani anni fa e se ne persero le tracce. Partiamo dal fatto che Valby esiste davvero ed è una delle 10 municipalità della capitale danese, Copenaghen. Ma… partiamo dall’inizio. Il protagonista è l’adolescente Sven, con il pallino della scienza, una famiglia un po’ a pezzi – i suoi sono divorziati, la giovane madre in quel frangente è in ospedale, il padre è imbarcato come radiotelegrafista su un mercantile, c’è una sorellina più piccola a cui badare – e la mancanza di quel padre per mari, in giro per il mondo. Mancanza lenita almeno in parte da un rudimentale ma efficace apparato radioamatoriale che – immaginiamo: lui e il babbo hanno messo in piedi un giorno – riesce a tenerli legati grazie a quel tenue filo invisibile costituito dalle onde radio. L’apparato è costruito dentro una vecchia e fascinosissima roulotte abbandonata in un campo. Non mancano l’amico, e rivale in amore, Bo e l’amichetta, di cui i due si contendono le attenzioni, Petra, loro compagna di classe che arriva dalla vicina Svezia. In una delle tante visite alla roulotte in cui Sven parla col padre a un certo punto si produce una interferenza in cui si sente una sorta di salmo recitato in latino. L’interferenza non solo disturba la comunicazione, ma fa vibrare almeno un po’ la roulotte. Incuriosito e allo stesso tempo impaurito dalla cosa, racconta l’episodio ai due amici e questi si trovano quindi tutti e tre per vedere se la cosa accade di nuovo. La vibrazione, di nuovo in corrispondenza della frequenza in cui stava ascoltando il padre, avviene più forte e quando cessa la radio è sintonizzata su una emittente locale che dà come notizia l’assassinio del primo ministro svedese Olof Palme, avvenuto però qualche mese prima. Petra se ne va un po’ contrariata, come se tutto fosse uno scherzo ben architettato, salvo il fatto che, al ritorno a casa, in questa non solo non trova i suoi genitori, ma risulta del tutto non abitata, non ammobiliata e da affittare. Impaurita non capisce e torna alla roulotte (lei si era trasferita lì dalla Svezia poco tempo prima). Episodi analoghi accadono agli altri due e pur non comprendendo bene cosa sia accaduto, hanno il sentore di essersi spostati nel tempo a qualche anno prima. In qualche modo riescono a tornare usando le stesse frequenze, ma questo primo episodio dà seguito ad altri in cui i tre diventano veri e propri viaggiatori del tempo, grazie a questa precisa frequenza che sembra capace di aprire un varco tra due punti del tempo. Sven, curioso e intraprendente, è convinto che sia una questione di ricezione e di potenze in gioco: se si aumenta la capacità di ricezione del segnale forse i salti nel tempo si fanno più consistenti. I fatti gli danno ragione e… i tre si ritrovano in un imprecisato momento del medioevo. Petra viene rapita, i due ragazzi rocambolescamente riescono a rientrare nella roulotte prima che questa venga inglobata del tutto nella torbiera che ha cambiato consistenza e diventa una fanghiglia che inghiotte tutto. Temendo di essere ormai spacciati, in extremis riattivano gli apparati radio e tornano al presente, ma non riescono a giustificare l’assenza di Petra davanti alla polizia e al padre che ovviamente ne denuncia la scomparsa. I due sanno di essere costretti a tornare indietro per salvarla e Sven riprende le registrazioni della litania latina che sentiva come disturbo della comunicazione, realizzata in una delle sessioni in cui parlava col padre. Il gruppo, per altro, si sta preparando a quella che dovrebbe essere una sorta di prima comunione e questo dà agio a Sven, che finge di essere interessato al latino, di chiedere informazioni su ciò che ha trascritto al religioso che li sta preparando al rito. È a quel punto che si parla del “miracolo di Valby”, un episodio che affonda le radici in un passato molto lontano, nel quale pare che un astronomo mezzo matto immaginasse di poter parlare con Dio e quindi costruì una sorta di gigantesca conchiglia capace di amplificare molto i suoni e captare, almeno idealmente, quelli che arrivavano dal cielo. Siamo di fronte a una sorta di profezia che si autoavvera: Sven è l’artefice, insieme ai suoi sodali, della leggenda di cui però deve compiere l’ultimo atto: tornare per salvare Petra. I due amici si accordano e “partono” senza sapere che Hanna, la sorellina di Sven, si è nascosta nella roulotte. Andando a cercare Petra lasciano la roulotte che viene intercettata dalla confraternita dei religiosi (e fors’anche dell’astronomo) e, affacciandosi, vedono al suo interno la bambina che, morta di stanchezza, ha ceduto al sonno, non prima di aver acceso attorno a sé delle candeline. Il tutto viene ovviamente interpretato come inequivocabile segno celeste e la roulotte viene trasportata fino all’interno della chiesa. I tre nel frattempo riescono a fuggire e tornano alla roulotte: non la trovano e seguono le tracce del carro che l’ha trasportata. Arrivano alla chiesa e vedono i monaci che “adorano” Hanna e la carovana.

Lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke – che però di scienza ne sapeva, visto che in suo onore l’orbita geostazionaria della Terra è stata chiamata “Fascia di Clarke” – enunciò tre “leggi”, l’ultima delle quali recita: «Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia». La scena che si presenta davanti ai tre ragazzi sembra essere l’esempio calzante di questa frase: Hanna, bambina divoratrice di film e fumetti, legge e illustra nella sua lingua, i giornalini che aveva portato con sé e che i monaci interpretano come testi sacri. A un certo punto lei, sul tetto della roulotte, scorge il fratello e lo chiama a sé. In questo modo il terzetto, ricongiuntosi con la bimba, tornano dentro la roulotte e fanno ritorno a casa, mentre i monaci pensano che sia un miracolo di Dio che hanno aspettato così a lungo.

Quando Hanna è in chiesa la domenica successiva, per la prima comunione, si vede raffigurata sul soffitto della chiesa e vede il disegno stilizzato della roulotte. Quando Sven vuole dare fuoco alla sua roulotte quella sera, sente l’interruttore della radio e sente di nuovo suo padre parlare e cercarlo. Desiste dal suo proposito e il film finisce.

Un film senz’altro per ragazzi. E c’è da aggiungere: per ragazzi di qualche tempo fa, che forse ha, nei ragazzi di oggi, poca o punta presa. Ma un film ormai diventato un classico nella cinematografia danese, forse proprio per questa sua semplicità narrativa, per questa sua storia che sembra senza tempo anche se (o forse proprio perché) parla di viaggi nel tempo, in una fantasmagoria che, come spettatori, accettiamo senza sospendendo il nostro giudizio e la nostra critica.

Maggio 6, 2025

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