Gli artropodi per il monitoraggio delle spiagge sabbiose
Non tutti sanno che gli artropodi (insetti, aracnidi, crostacei e miriapodi) possono essere un utilissimo strumento per monitorare lo stato di salute degli ambienti costieri. In un ambiente difficile come le spiagge sabbiose, dove le risorse alimentari sono poche, i pericoli numerosi e le condizioni mutevoli, questi animali riescono a sopravvivere grazie ad alcuni adattamenti caratteristici, che riguardano fisiologia e comportamento; per esempio escono ad alimentarsi principalmente durante le ore notturne, quando il caldo estivo è meno intenso ed è più difficile essere catturati dai predatori.
Gli artropodi sono probabilmente gli animali che meglio rappresentano la vita sulle spiagge sabbiose, anche perché sono meno mobili e più legati al proprio territorio rispetto agli animali di grandi dimensioni, e pertanto, prima di scomparire da un dato ambiente, le loro comunità subiscono delle variazioni, di composizione e comportamento, che sono sintomatiche e preziose per il monitoraggio e la gestione dell’ambiente stesso.
Riguardo al monitoraggio su periodi lunghi, anche per le spiagge sabbiose la regola generale è che un ecosistema stabile ospita una maggior biodiversità rispetto ad uno in cui le condizioni cambiano rapidamente. Pertanto l’analisi della biodiversità degli artropodi permette di valutare la stabilità dell’ambiente su archi temporali medio-lunghi, di alcuni anni, che è il tempo necessario perché nella comunità vengano selezionate le specie più adatte a sopravvivere nel nuovo ambiente, a svantaggio di quelle che non sono adatte. In questo tipo di studi si procede quindi ad un campionamento stagionale della comunità, effettuato in modo da includere tutti i microhabitat dell’ambiente costiero, e si confronta la varietà di specie e la quantità di individui campionati negli anni, ottenendo un quadro d’insieme rappresentativo dei cambiamenti avvenuti.
Ma per evidenziare gli effetti più immediati degli interventi umani occorre far ricorso ad altri indicatori, ed una possibilità è quella di studiare il comportamento delle pulci di mare, che sono di certo i dominatori assoluti degli ambienti costieri di tutta Italia, ma anche nel resto del mondo. La specie più comune sulle coste italiane è Talitrus saltator, ma esistono specie affini praticamente in qualunque spiaggia del globo. Questi piccoli “gamberetti” (anfipodi talitridi, appartenenti alla classe dei crostacei) sono fatti per vivere sulla terraferma, ma non completamente, perché respirano per mezzo di branchie e la loro cuticola non è del tutto impermeabile, quindi hanno un bisogno costante di acqua per sopravvivere. La loro strategia consiste perciò nel restare sepolti sotto la sabbia durante il giorno, in quella striscia del bagnasciuga che rimane sempre umida per effetto delle onde, ed uscire per andare a cercare detriti per cibarsi durante la notte, quando il fresco evita una rapida disidratazione. Anche se stanno nascosti, è facile riconoscere le spiagge in cui vivono, per la presenza di piccoli “buchi” nella sabbia umida, che corrispondono ai punti in cui gli animali si sono sotterrati.
È stato dimostrato che esiste una relazione tra la capacità delle pulci di mare di orientarsi correttamente e la stabilità della riva: si orientano più precisamente gli individui che vivono in una spiaggia la cui riva rimane stabile nel tempo, mentre si osservano deviazioni e dispersione quando la linea di riva sta cambiando direzione, per processi di erosione o di aumentato apporto di sabbia. Questi cambiamenti avvengono naturalmente in tutte le spiagge, per effetto di onde, venti, eccetera, ma spesso sono le opere umane che hanno accelerato questi processi, a causa di costruzioni che bloccano i flussi naturali, di un eccessivo uso turistico, ed in generale di una scarsa attenzione agli ecosistemi costieri.
Perciò, il rapporto tra l’abilità nell’orientamento delle pulci di mare e la stabilità della riva può essere usato per controllare gli effetti dei cambiamenti del litorale, facendo da “bioindicatore”. Ciò significa che il modo in cui un animale si orienta può funzionare come un indice di stabilità del suo ambiente. Essendo un adattamento comportamentale, l’orientamento è una risposta che interviene per cambiamenti immediati, perciò il suo studio fornisce informazioni relative ai cambiamenti recenti, di qualche mese, a differenza della biodiversità degli artropodi, che è indice di cambiamenti che agiscono da molto tempo, e che hanno già portato ad una selezione delle specie nella comunità.
Un altro interessante carattere comportamentale che può essere analizzato nelle pulci di mare è il loro “ritmo circadiano”. Semplificando, possiamo dire che tutti i viventi mostrano un’alternanza, più o meno regolare, di fasi di attività e di fasi di riposo nell’arco delle 24 ore quotidiane; questo ritmo dipende dal cosiddetto “orologio biologico”, un meccanismo molecolare non ancora del tutto conosciuto, che viene, per così dire, “rimesso in fase” tutti i giorni dall’alternarsi di luce e buio (nella maggior parte dei casi lo stimolo regolatore è l’arrivo della luce del giorno, all’alba). Ma il ritmo è interno, l’orologio negli esseri viventi continua a funzionare anche se non viene rimesso in fase, com’è stato dimostrato su diverse specie, uomo compreso, misurando i periodi di sonno e di veglia in condizioni di luce o buio costante (quindi senza il segnale regolatore). Si è così scoperto che il ritmo circadiano varia tra le diverse specie, tra popolazioni di una stessa specie, tra i singoli individui e nello stesso individuo a seconda dell’ambiente di vita, della stagione, dell’età eccetera.
Per questi motivi il ritmo circadiano delle pulci di mare può anch’esso fare da bioindicatore a breve termine, aiutandoci a capire se le popolazioni di tratti diversi di costa, più o meno stabili, possano avere ritmi diversi, più o meno adattati ai cicli naturali.
Se l’analisi della biodiversità è utilizzata come valido bioindicatore di qualità degli ambienti (costieri e non solo) già da molti gruppi di ricerca nel mondo, lo studio comportamentale (anche detto etologico) delle pulci di mare è un approccio piuttosto recente, che viene costantemente migliorato dai ricercatori dell’Università di Firenze, veri pionieri dell’etologia che stanno diffondendo i loro metodi tra gli studiosi del mondo intero. Peccato che i fondi disponibili siano costantemente in calo, come per tutta la ricerca italiana, sebbene sia ormai evidente a tutti che i nostri ecosistemi vanno assolutamente monitorati e salvaguardati. Il caso delle spiagge sabbiose è uno dei tanti, ma appare fondamentale se si considera che l’Italia è una penisola quasi del tutto immersa nel Mediterraneo, e che delle proprie spiagge ha fatto uno dei principali motori economici nel turismo locale ed internazionale.
Dott.ssa Delphine Nourisson – Dottorato in Etologia ed Ecologia Animale
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