“Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia” ne parliamo con Cinzia Tromba
In questa intervista abbiamo il piacere di parlare con Cinzia Tromba, referente del progetto “Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia”, sostenuto dall’8×1000 della Chiesa valdese e portato avanti dall’associazione Semi di Scienza.
Prima di parlare del progetto, dobbiamo dire cosa sono le comunità energetiche rinnovabili.
Che cosa sono? Uno strumento rivoluzionario, né più né meno. Questo ho pensato la prima volta che mi sono imbattuta nelle comunità energetiche rinnovabili.
Era il periodo del primo lockdown, la primavera del 2020. All’epoca stavo partecipando a un progetto di educazione ambientale in alcune scuole di Pavia, interrotto per la pandemia. Costretta a casa, scandagliavo la rete alla ricerca di aggiornamenti in tema di crisi climatica e, in generale, di temi ambientali, quando sono incappata in una direttiva dell’Unione europea (la RED II del 2018) che, nell’ambito dei progetti di transizione energetica, promuove la costituzione di associazioni di cittadini per la produzione e l’autoconsumo di energia (purché da fonti rinnovabili) incentivandone la costituzione mediante benefici economici: le comunità energetiche rinnovabili (CER).
Perché ho pensato subito che si trattasse di un’iniziativa rivoluzionaria? Intanto, per quanto dichiarato nello stesso nome: “comunità”, un concetto che l’individualismo rampante degli ultimi decenni aveva recluso nel dimenticatoio. Comunità espressione della “società civile”, come si diceva ai miei tempi – ossia composte da semplici cittadini, piccole imprese, associazioni, enti locali – che collaborano mettendo in comune gli impianti energetici per consumare l’energia da essi prodotta: un’idea in totale controtendenza.
Ma non finisce qui: prendere il controllo della produzione e dell’utilizzo dell’energia significa sganciarsi dal monopolio delle grandi imprese energetiche. Insomma, la materializzazione del concetto di “democrazia energetica”. Per di più fornito su un piatto d’argento dall’Unione europea.
E non è ancora tutto. Per tutta la storia dell’umanità le guerre sono state fatte fondamentalmente per appropriarsi di risorse energetiche (a meno che si voglia credere alle barzellette sull’esportazione della democrazia…), dapprima sotto forma di campi fertili (energia per la macchina umana) poi, dalla Rivoluzione industriale in avanti, per impadronirsi di giacimenti di fossili, soprattutto il petrolio (energia per le macchine al servizio dell’umanità). Se questo è vero, allora democratizzare produzione e consumo di energia da fonti rinnovabili come il sole e il vento – ossia “beni comuni” su cui nessuno può avanzare pretese di possesso, a differenza di miniere e giacimenti – significa lavorare per la pace. Le CER possono quindi essere considerate, anche, strumenti di pace. Se non è rivoluzionario tutto ciò!
Queste le grandi potenzialità, diciamo i fondamenti ideali, che ho trovato nel progetto CER.
Ma esistono benefici – oltre alla diminuzione dell’importo delle bollette – più immediatamente individuabili che derivano dall’espansione delle energie rinnovabili.
Per esempio si può dire addio al gas. Il che, oltre a ridurre le emissioni di anidride carbonica, farebbe bene al portafoglio (pensiamo alle speculazioni finanziarie di qualche anno fa che hanno generato bollette monstre…) e, aspetto non trascurabile, permetterebbe di affrancarsi dalla necessità di importare gas da Stati lontani e spesso politicamente instabili e poco democratici, aumentando così l’indipendenza energetica del Paese.
In questo senso le comunità energetiche possono giocare un ruolo importante perché favorendo l’adozione di soluzioni alternative come pompe di calore e piastre a induzione, diminuiscono progressivamente la necessità del gas per il riscaldamento e la cucina portando in prospettiva all’eliminazione tout cour della bolletta del gas. Mica male, no?
Per quanto concerne la realizzazione pratica di queste comunità, sarebbe scorretto negare che creare una CER non sia una passeggiata: richiede la costituzione di un soggetto giuridico, una gestione amministrativa e un forte impegno. Per questi motivi è importante il supporto delle istituzioni locali, Comuni in primis.
A questo punto possiamo passare al progetto “Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia”, ti va di parlarmene?
Il progetto ha come obiettivo principale la sensibilizzazione sul tema CER delle popolazioni di due Comuni della provincia di Pavia: Zinasco (dove vivo) e Bereguardo, dove abbiamo stabilito una collaborazione con i membri dell’Associazione Zelata Verde.
Ed è proprio a Bereguardo che il progetto ha avuto il battesimo del fuoco – in anticipo rispetto all’apertura ufficiale – il 26 ottobre 2023 con un incontro aperto alla cittadinanza svoltosi nelle sale del Castello. Alle relazioni di diversi esperti hanno illustrato il significato, il funzionamento e le prospettive delle CER, si sono accompagnate le testimonianze dal campo, cioè di chi aveva già costituito comunità energetica, come il consulente ambientale del Comune di Torre Beretti (prima CER realizzata nella provincia) e di chi ci stava lavorando (come il sindaco di S. Cristina e Bissone).
Il 19 gennaio 2024 un’iniziativa simile è stata proposta a Zinasco.
L’obiettivo era far seguire a queste prime assemblee di introduzione al tema, incontri di approfondimento che avrebbero portato, nella migliore delle ipotesi, alla decisione di costituire una CER. Per questo abbiamo chiesto ai partecipanti alle assemblee più interessati di lasciare i proprio recapiti.
Ma qui abbiamo dovuto fermarci, perché in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi della legge approvata quasi due anni prima, essenziali per dare un quadro normativo definitivo a questo ambito. Nell’anno e mezzo precedente infatti chi si era mosso costituendo CER (circa una ventina in tutta Italia) lo aveva fatto in un quadro sperimentale di progetti pilota, obbedendo a una normativa transitoria dove i limiti di potenza degli impianti e di ampiezza geografica (e quindi di numero di possibili membri della comunità) erano molto ristretti. I decreti attuativi e le connesse regole operative invece dovevano recepire la normativa europea prevedendo un ampliamento di tali limiti e la definizione dell’entità degli incentivi.
In attesa della pubblicazione di questi documenti (completata a fine febbraio) abbiamo comunque cercato di contattare i cittadini che si erano dimostrati interessati, in modo da costituire un nucleo da cui partire per studiare l’effettiva possibilità di costituire una CER. Sforzi che però si sono dimostrati infruttuosi: il dichiarato “interesse” non si è tradotto in volontà di partecipazione. Certo, la totale assenza dell’ente locale, pur sponsor del progetto (a Zinasco), non ha aiutato.
Come non ha aiutato, nei mesi successivi, l’incombenza delle elezioni amministrative che hanno riguardato sia Zinasco sia Bereguardo (dove comunque sono intervenuta per parlare di CER alla presentazione della lista Bereguardo Futura).
Il tentativo, in estate dopo le elezioni, di interessare la gente con un gazebo (in piazza una domenica mattina a Zinasco, durante la Notte blu di Gropello Cairoli il 6 luglio) non ha sortito maggiori successi.
Per fortuna, le elezioni hanno portato a un cambiamento al vertice del Comune capoluogo di provincia, Pavia. Il nuovo assessore all’ambiente, Lorenzo Goppa, è determinato a recuperare il tempo perduto in questi anni e a promuovere le CER in città con la collaborazione delle associazioni del territorio. E qui ci siamo anche noi: sabato 21 e domenica 22 settembre, per cominciare, avremo uno stand a Horti Aperti, manifestazione annuale che si tiene agli orti del collegio Borromeo di Pavia.
Quando è nato il progetto?
Il progetto, presentato e approvato nel 2023 dall’8 per mille Valdese, ha avuto inizio nel gennaio 2024 per la durata di un anno.
Non sappiamo ancora se ci saranno altre edizioni.
Quali sono i punti di forza e le problematiche che hai riscontrato?
Dei punti di forza, ovvero delle grandi potenzialità connesse alle realizzazione delle CER, ho parlato prima. Ma quelli che per me sono aspetti cruciali (democrazia energetica, azione in comune dal basso, come si dice, empowerment dei cittadini) non lo sono altrettanto per la maggior parte della società del XXI secolo.
Perciò, ho subito dovuto fare i conti con una realtà impossibile da negare, e cioè che fare appello, oggi, al senso di solidarietà delle persone, alla loro sensibilità nei confronti della tutela dell’ambiente e della crisi climatica sarebbe abbastanza inutile, non convincerebbe nessuno a imbarcarsi in un progetto come quello delle CER. Occorre invece far perno sui risparmi economici.
In una sorte di inversione delle intenzioni, credo che sarebbe più proficuo oggi convincere un ristretto numero di persone a realizzare una CER e usare questa esperienza per convincere gli altri che agire insieme porta benefici, anche, ma non solo, economici, piuttosto che far perno sul senso di solidarietà per costruire una comunità energetica,
Ma, come abbiamo visto, anche questo approccio non è affatto scevro da difficoltà.
Un altro ostacolo significativo è stata l’assoluta refrattarietà degli amministratori locali nei piccoli Comuni oggetto originario del nostro Progetto. Un’assenza dovuta sia a indifferenza “politica”, sia a una caratteristica che riguarda tutti i Comuni, ma soprattutto i più piccoli, ossia la mancanza di risorse e competenze a livello locale. Gli uffici tecnici, per esempio, sono sottodimensionati e spesso devono condividere il personale tra più amministrazioni: in queste condizioni non è facile seguire complessi iter burocratici.
Tuttavia, quando c’è una forte volontà politica, è possibile superare questi ostacoli e realizzare progetti concreti: un esempio è il comune di Torre Beretti, con appena 512 abitanti. Nonostante le dimensioni ridotte, qui l’ente locale è riuscito a creare la prima comunità energetica della provincia di Pavia. Ciò dimostra che, con la giusta determinazione, è possibile superare le difficoltà e realizzare progetti concreti.
Ma ora un grande rischio che si sta correndo, vista la lentezza con cui si vanno costituendo le CER in Italia anche grazie a una burocrazia che certo non aiuta, è che arrivino, e lo stanno facendo, grandi aziende del settore che si offrono per costituire CER “chiavi in mano”. Lo fanno sfruttando l’innegabile complessità dell’iter di costituzione e della gestione di una comunità energetica (costituire un soggetto giuridico, dotarsi di un ufficio amministrativo etc). Ma così facendo si spogliano le CER del loro significato più profondo: il controllo da parte dei cittadini. Un aspetto ancor più importante se si pensa che le CER possono diventare imprese energetiche che generano profitti da investire direttamente nei territori. Come? Creando reti di comunità energetiche che condividono risorse e competenze, reti in cui l’amministrazione è centralizzata. L’obiettivo: mantenere il controllo locale sull’energia, in modo che i benefici ricadano direttamente sulle comunità. Esperienze di questo tipo si stanno facendo in Piemonte e in Friuli, per esempio – link a video di Olivero https://www.youtube.com/watch?v=JV9JjCGPLK8).
Per questi motivi è importante muoversi rapidamente e organizzarsi dal basso. E sarebbe importante che gli Enti Locali facessero da capofila.
Per finire, vorrei ricordare che il concetto di beni comuni è fondamentale per comprendere il valore delle risorse naturali che appartengono a tutti. Un esempio emblematico è l’acqua, oggetto di un importante referendum alcuni anni fa per ribadirne lo status di bene comune (referendum peraltro bellamente ignorato da tutti i governi succedutisi fin qui). Come l’acqua, anche il vento e i fotoni che ci arrivano dal sole sono un bene comune. E per ciò stesso, non “possedibili” da alcuno.
Qual è il tuo percorso personale e lavorativo? Vuoi condividere degli hobby/passioni che hai?
Laureata in Biologia dopo la maturità classica, ho lavorato per un decennio come ricercatrice in ambito universitario, sia in Italia che negli Stati Uniti. Ma mi sono resa conto abbastanza presto che quello non sarebbe stato il mio futuro. Ho scelto così di divulgare la scienza, piuttosto che “farla” e sono diventata giornalista scientifica, professione che ho svolto, prima nell’ambito di un’agenzia di giornalismo, poi come presidente di una piccola cooperativa editoriale, fino al 2018, quando mi sono licenziata concedendomi un anno sabbatico. E qui inizia il terzo periodo della mia attività lavorativa, ma con sempre la scienza al centro. Nel 2019 infatti faccio la mia prima esperienza nella scuola affiancando un vecchio amico che avevo perso di vista, Gabriele Porrati.
Avevo conosciuto Gabriele – che peraltro mi ha fatto conoscere Semi di Scienza – partecipando alla battaglia del comitato ambientalista del nostro paese contro l’installazione di un impianto di bioetanolo, nel 2007. Da quegli incontri, su spinta di Gabriele, è nata l’associazione Cambiamo
con cui abbiamo organizzato due edizioni del Festival di Cambiamo a Zinasco, con l’obiettivo di creare un festival ecologista che combinasse concerti serali con momenti di divulgazione scientifica. Con il passare del tempo, gli impegni lavorativi mi hanno assorbito totalmente, e mi sono allontanata dall’attività in paese, mentre Gabriele spostava l’organizzazione dei festival a Pavia. Nel frattempo, Cambiamo si è trasformata da associazione a cooperativa di promozione sociale, con un focus particolare sulla divulgazione scientifica rivolta a studenti, insegnanti, politici locali e assessori.
Nel 2019 ho ripreso contatto con Gabriele in modo casuale. Lui stava lavorando a un progetto di educazione ambientale nelle scuole superiori di Pavia e mi ha chiesto di partecipare. L’esperienza mi è piaciuta, e ho toccato con mano quanto sia cruciale avvicinare i ragazzi alla questione ambientale, spiegare loro quanto è importante lottare da subito per cercare di fermare il progredire della crisi ambientale, così ho deciso così di provare a insegnarla, la scienza. Un ottimo modo per parlare di ecologia. Mi sono iscritta nelle graduatorie provinciali per l’insegnamento nelle scuole superiori di Pavia ed è così che ho fatto supplenze negli ultimi tre anni, e devo dire che la cosa mi piace molto. Mi sento “in missione per conto del Gabri” (sì, perché lui purtroppo se ne è andato all’inizio del 2021, e ci manca molto).
Come ti ha arricchito personalmente il progetto?
Per me, adolescente cresciuta nel movimento degli studenti degli anni ’70, è una sorta di àncora di salvezza. Perché? Il motivo è che non ho mai abbandonato l’idea che questo mondo si possa cambiare in meglio.
Certo è che di questi tempi (soprattutto gli ultimi anni) tenere la barra dritta in tal senso è dura: in un mondo che invece di migliorare peggiora sempre di più (non bastava la gravissima crisi climatica, ci abbiamo aggiunto anche le guerre, si torna persino a parlare di armi nucleari, dopo tutte le battaglie pacifiste no-nuke!) il senso di spaesamento, di solitudine (i singoli sono sempre più chiusi in se stessi, nell’epoca dell’individualismo a go-go), di impotenza può essere paralizzante.
Ebbene, in tutto ciò avere un obiettivo concreto come quello dello sviluppo delle comunità energetiche, per tutti i motivi già elencati, per me è ossigeno puro: recuperare il senso, la forza dell’agire comune per perseguire obiettivi che vanno nella direzione giusta può essere la risposta all’attuale degrado. Sono convinta infatti che ogni comunità energetica che prende vita sia un piccolo granello negli ingranaggi di un sistema che va deviato dal suo percorso suicida. E se, per esempio, la nostra Penisola (o tutta l’Europa, l’Africa) venisse ricoperta da una rete di comunità energetiche? Sarebbe splendido. Allora la speranza di salvare questo nostro mondo, agendo tutti insieme contro i pochi che traggono profitto da guerre e disastri, potrebbe diventare una bellissima realtà.
Approfondisci il progetto “Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia”.
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