Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it Tue, 15 Oct 2024 09:03:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.10 http://www.semidiscienza.it/wp-content/uploads/2019/01/cropped-Semi-di-scienza-1-32x32.png Semi di Scienza http://www.semidiscienza.it 32 32 Passeggiata matematica http://www.semidiscienza.it/2024/10/15/passeggiata-matematica/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=passeggiata-matematica http://www.semidiscienza.it/2024/10/15/passeggiata-matematica/#respond Tue, 15 Oct 2024 09:03:33 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2970 http://www.semidiscienza.it/2024/10/15/passeggiata-matematica/feed/ 0 Evento CER http://www.semidiscienza.it/2024/10/05/evento-cer/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=evento-cer http://www.semidiscienza.it/2024/10/05/evento-cer/#respond Sat, 05 Oct 2024 08:11:01 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2964 Nei giorni 21 e 22 settembre abbiamo partecipato all’iniziativa “HORTI APERTI” presso i giardini del Collegio Borromeo di Pavia.

È stata l’occasione per parlare di Comunità Energetiche Rinnovabili e diffondere consapevolezza sui temi della transizione energetica, la più grande sfida di questi anni.

Questo evento rientra nel progetto “Cambiamo Energia”, sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.
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Uno sguardo ai PFAS http://www.semidiscienza.it/2024/09/28/uno-sguardo-ai-pfas/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=uno-sguardo-ai-pfas http://www.semidiscienza.it/2024/09/28/uno-sguardo-ai-pfas/#respond Sat, 28 Sep 2024 10:42:43 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2944 di Matteo Bo – socio di Semi di Scienza

I PFAS, acronimo di sostanze perfluoroalchiliche, è un gruppo di composti chimici di sintesi – ovvero creati dall’uomo – che sono utilizzati in moltissimi campi e che stanno vedendo un crescente interesse nel dibattito pubblico per via degli effetti sulla salute e sull’ambiente che generano o che possono generare.

In questo articolo, che non pretende di essere esaustivo, affronteremo alcuni dei punti “salienti” di un argomento che è molto complesso ma che merita di essere esposto anche sulle pagine del nostro Blog per descrivere almeno in prima battuta le principali caratteristiche di queste sostanze ad oggi ancora poco conosciute seppur dalla storia quasi centenaria.

Alla fine degli anni ’30, infatti, nel corso dei processi di industrializzazione del PTFE fu scoperto per errore – come spesso accade nelle scoperte scientifiche – un fluoropolimero, ovvero una catena di atomi di carbonio con fluoro, dalle caratteristiche idrorepellenti e tensioattive. Inizialmente utilizzato per rendere impermeabili i carri armati durante la Seconda guerra mondiale, a partire dagli anni ’50, l’azienda chimica DuPont ne sviluppò un prodotto commerciale noto come Teflon. Nel corso degli anni, a quello che è a tutti gli effetti il più famoso tra i PFAS, furono affiancati centinaia di composti riconducibili allo stesso gruppo ed utilizzati in varie applicazioni civili e industriali: lubrificanti, antiaderenti per pentole e padelle, schiume anti-incendio, guarnizioni, refrigeranti, pesticidi, prodotti di cosmesi e altro.

Immagine di una padella antiaderente

Questi fluoropolimeri sono accumunati dalla loro proprietà idrorepellenti, oleorepellenti e tensioattive. Per effetto delle loro lunghe catene di carbonio, sono inoltre caratterizzati da una fortissima persistenza che li rende duraturi nel tempo ma anche diffusi nello spazio e quindi all’interno dell’ambiente e della catena alimentare. La gran parte dei PFAS sono infatti resistenti all’idrolisi, alla biodegradazione, alla fotolisi e ad altri processi di ossidazione naturale. Possono essere degradati solo termicamente ma a temperature pari a 1200-1300 °C, valori che non sempre vengono nemmeno raggiunte all’interno degli inceneritori.

Per via dell’ampiezza dei composti ricadenti nel gruppo di PFAS, a cui si aggiungono continuamente nuovi prodotti di sintesi, ad oggi vi è ancora quindi la necessità di uno sviluppo più ampio della normativa e della tecnica necessarie a definirne sia l’impiego sia le modalità di campionamento, analisi e studio dei rischi per la salute. Quest’ultimi sono noti a livello globale da circa 50 anni, come racconta il film Dark Waters con Mark Ruffalo – uscito in Italia nel 2020 con il titolo “Cattive Acque” – che racconta la causa intentata negli anni ’70 contro la DuPont in Virginia (USA).

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel 2023 ha classificato come cancerogeni per l’uomo i PFOA e i PFOS, tra i più noti e storici PFAS in circolazione. Su composti più recenti come C6O4 e ADV le ricerche sono ancora in corso e dovremo attendere ancora qualche tempo per meglio comprenderne le ricadute. Tra i bersagli identificati vi sono il fegato, in cui si verifica un processo di bioaccumulo, e i reni, che tendono a trattenerli anziché espellerli con l’urina. Sono stati poi riscontrati effetti fisiologici sul sistema immunitario e in particolare sulla regolazione ormonale.

Per quanto riguarda la diffusione di questi inquinanti in ambiente, in diversi casi nel mondo le concentrazioni più elevate sono state rilevate in prossimità di stabilimenti che li producono e, in seconda battuta, in stabilimenti che li lavorano per creare prodotti destinati alla commercializzazione. I PFAS si trovano infatti sia nel prodotto finito (e nella relativa degradazione) sia in prodotti intermedi. In analogia con altri inquinanti sono quindi in genere le popolazioni più prossime agli stabilimenti e i lavoratori che vi operano all’interno ad essere potenzialmente maggiormente esposti a PFAS. Sono inoltre stati rilevati presso siti dove vengono utilizzati grossi quantitativi di schiume antincendio come nel caso dell’aeroporto militare di Ronneby in Svezia.

In Italia, il caso più noto è quello della contaminazione della falda e dei corpi acquiferi superficiali a causa delle attività dell’azienda Miteni in Veneto a partire dagli anni ‘60. Un caso che ha portato nel 2018 alla dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri con il divieto al consumo di acqua potabile in 30 comuni tra le province di Vicenza, Verona e Padova per una popolazione di circa 350 mila persone interessate.

La loro persistenza ha tuttavia portato a rilevarli anche in corsi d’acqua, falde acquifere e nel sangue umano in aree non direttamente interessate dalla loro produzione o trasformazione. In questo senso, un interessante e ormai storico studio del CNR presentato nel 2011 ha definito i primi contorni sulla contaminazione nella matrice acque cui sono seguiti studi di approfondimento tutt’ora in corso in varie regioni del Bacino Padano sia sulla medesima matrice acqua sia sull’aerodispersione dei PFAS in aria ambiente.

Ad oggi risulta quindi necessario il monitoraggio e lo studio sugli effetti dei principali PFAS con un occhio a quelli di nuova generazione maggiormente diffusi e una sorveglianza dei siti di produzione e lavorazione principali. Per quanto di difficile riscontro nel mercato, ove possibile nella quotidianità potrebbe risultare un’azione efficace di auto-tutela la ricerca di prodotti “PFAS-free” o la scelta di alternative che intrinsecamente non comportino la necessità di prodotti che potrebbero contenerli.

Bibliografia:

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“Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia” ne parliamo con Cinzia Tromba http://www.semidiscienza.it/2024/09/13/pratiche-di-sostenibilita-cambiamo-marcia-allenergia-ne-parliamo-con-cinzia-tromba/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=pratiche-di-sostenibilita-cambiamo-marcia-allenergia-ne-parliamo-con-cinzia-tromba http://www.semidiscienza.it/2024/09/13/pratiche-di-sostenibilita-cambiamo-marcia-allenergia-ne-parliamo-con-cinzia-tromba/#respond Fri, 13 Sep 2024 15:16:51 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2932 In questa intervista abbiamo il piacere di parlare con Cinzia Tromba, referente del progetto “Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia”, sostenuto dall’8×1000 della Chiesa valdese e portato avanti dall’associazione Semi di Scienza.

Prima di parlare del progetto, dobbiamo dire cosa sono le comunità energetiche rinnovabili.

Che cosa sono? Uno strumento rivoluzionario, né più né meno. Questo ho pensato la prima volta che mi sono imbattuta nelle comunità energetiche rinnovabili. 

Era il periodo del primo lockdown, la primavera del 2020. All’epoca stavo partecipando a un progetto di educazione ambientale in alcune scuole di Pavia, interrotto per la pandemia. Costretta a casa, scandagliavo la rete alla ricerca di aggiornamenti in tema di crisi climatica e, in generale, di temi ambientali, quando sono incappata in una direttiva dell’Unione europea (la RED II del 2018) che, nell’ambito dei progetti di transizione energetica, promuove la costituzione di associazioni di cittadini per la produzione e l’autoconsumo di energia (purché da fonti rinnovabili) incentivandone la costituzione mediante benefici economici: le comunità energetiche rinnovabili (CER). 

Perché ho pensato subito che si trattasse di un’iniziativa rivoluzionaria? Intanto, per quanto dichiarato nello stesso nome: “comunità”, un concetto che l’individualismo rampante degli ultimi decenni aveva recluso nel dimenticatoio. Comunità espressione della “società civile”, come si diceva ai miei tempi – ossia composte da semplici cittadini, piccole imprese, associazioni, enti locali – che collaborano mettendo in comune gli impianti energetici per consumare l’energia da essi prodotta: un’idea in totale controtendenza. 

Ma non finisce qui: prendere il controllo della produzione e dell’utilizzo dell’energia significa sganciarsi dal monopolio delle grandi imprese energetiche. Insomma, la materializzazione del concetto di “democrazia energetica”. Per di più fornito su un piatto d’argento dall’Unione europea.

E non è ancora tutto. Per tutta la storia dell’umanità le guerre sono state fatte fondamentalmente per appropriarsi di risorse energetiche (a meno che si voglia credere alle barzellette sull’esportazione della democrazia…), dapprima sotto forma di campi fertili (energia per la macchina umana) poi, dalla Rivoluzione industriale in avanti, per impadronirsi di giacimenti di fossili, soprattutto il petrolio (energia per le macchine al servizio dell’umanità). Se questo è vero, allora democratizzare produzione e consumo di energia da fonti rinnovabili come il sole e il vento – ossia “beni comuni” su cui nessuno può avanzare pretese di possesso, a differenza di miniere e giacimenti – significa lavorare per la pace. Le CER possono quindi essere considerate,  anche, strumenti di pace. Se non è rivoluzionario tutto ciò!

Queste le grandi potenzialità, diciamo i fondamenti ideali, che ho trovato nel progetto CER.
Ma esistono benefici – oltre alla diminuzione dell’importo delle bollette – più immediatamente individuabili che derivano dall’espansione delle energie rinnovabili.
Per esempio si può dire addio al gas. Il che, oltre a ridurre le emissioni di anidride carbonica, farebbe bene al portafoglio (pensiamo alle speculazioni finanziarie di qualche anno fa che hanno generato bollette monstre…) e, aspetto non trascurabile, permetterebbe di affrancarsi dalla necessità di importare gas da Stati lontani e spesso politicamente instabili e poco democratici, aumentando così l’indipendenza energetica del Paese.
In questo senso le comunità energetiche possono giocare un ruolo importante perché favorendo l’adozione di soluzioni alternative come pompe di calore e piastre a induzione, diminuiscono progressivamente la necessità del gas per il riscaldamento e la cucina portando in prospettiva all’eliminazione tout cour della bolletta del gas. Mica male, no?

Per quanto concerne la realizzazione pratica di queste comunità, sarebbe scorretto negare che creare una CER non sia una passeggiata: richiede la costituzione di un soggetto giuridico, una gestione amministrativa e un forte impegno. Per questi motivi è importante il supporto delle istituzioni locali, Comuni in primis.

A questo punto possiamo passare al progetto “Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia”, ti va di parlarmene?

Il progetto ha come obiettivo principale la sensibilizzazione sul tema CER delle popolazioni di due Comuni della provincia di Pavia: Zinasco (dove vivo) e Bereguardo, dove abbiamo stabilito una collaborazione con i membri dell’Associazione Zelata Verde. 

Ed è proprio a Bereguardo che il progetto ha avuto il battesimo del fuoco – in anticipo rispetto all’apertura ufficiale – il 26 ottobre 2023 con un incontro aperto alla cittadinanza svoltosi nelle sale del Castello. Alle relazioni di diversi esperti hanno illustrato il significato, il funzionamento e le prospettive delle CER, si sono accompagnate le testimonianze dal campo, cioè di chi aveva già costituito comunità energetica, come il consulente ambientale del Comune di Torre Beretti (prima CER realizzata nella provincia) e di chi ci stava lavorando (come il sindaco di S. Cristina e Bissone).
Il 19 gennaio 2024 un’iniziativa simile è stata proposta a Zinasco. 

L’obiettivo era far seguire a queste prime assemblee di introduzione al tema, incontri di approfondimento che avrebbero portato, nella migliore delle ipotesi, alla decisione di costituire una CER. Per questo abbiamo chiesto ai partecipanti alle assemblee più interessati di lasciare i  proprio recapiti.

Ma qui abbiamo dovuto fermarci, perché in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi della legge approvata quasi due anni prima, essenziali per dare un quadro normativo definitivo a questo ambito. Nell’anno e mezzo precedente infatti chi si era mosso costituendo CER (circa una ventina in tutta Italia) lo aveva fatto in un quadro sperimentale di progetti pilota, obbedendo a una normativa transitoria dove i limiti di potenza degli impianti e di ampiezza geografica (e quindi di numero di possibili membri della comunità) erano molto ristretti. I decreti attuativi e le connesse regole operative invece dovevano recepire la normativa europea prevedendo un ampliamento di tali limiti e la definizione dell’entità degli incentivi.

In attesa della pubblicazione di questi documenti (completata a fine febbraio) abbiamo comunque cercato di contattare i cittadini che si erano dimostrati interessati, in modo da costituire un nucleo da cui partire per studiare l’effettiva possibilità di costituire una CER. Sforzi che però si sono dimostrati infruttuosi: il dichiarato “interesse” non si è tradotto in volontà di partecipazione. Certo, la totale assenza dell’ente locale, pur sponsor del progetto (a Zinasco), non ha aiutato.
Come non ha aiutato, nei mesi successivi, l’incombenza delle elezioni amministrative che hanno riguardato sia Zinasco sia Bereguardo (dove comunque sono intervenuta per parlare di CER alla presentazione della lista Bereguardo Futura). 

Presentazione della lista Bereguardo Futura

Il tentativo, in estate dopo le elezioni, di interessare la gente con un gazebo (in piazza una domenica mattina a Zinasco, durante la Notte blu di Gropello Cairoli il 6 luglio) non  ha sortito maggiori successi.

Per fortuna, le elezioni hanno portato a un cambiamento al vertice del Comune capoluogo di provincia, Pavia. Il nuovo assessore all’ambiente, Lorenzo Goppa, è determinato a recuperare il tempo perduto in questi anni e a promuovere le CER in città con la collaborazione delle associazioni del territorio. E qui ci siamo anche noi: sabato 21 e domenica 22 settembre, per cominciare, avremo uno stand a Horti Aperti, manifestazione annuale che si tiene agli orti del collegio Borromeo di Pavia. 

Quando è nato il progetto?

Il progetto, presentato e approvato nel 2023 dall’8 per mille Valdese, ha avuto inizio nel gennaio 2024 per la durata di un anno.

Non sappiamo ancora se ci saranno altre edizioni. 

Quali sono i punti di forza e le problematiche che hai riscontrato?

Dei punti di forza, ovvero delle grandi potenzialità connesse alle realizzazione delle CER, ho parlato prima. Ma quelli che per me sono aspetti cruciali (democrazia energetica, azione in comune dal basso, come si dice, empowerment dei cittadini) non lo sono altrettanto per la maggior parte della società del XXI secolo.
Perciò, ho subito dovuto fare i conti con una realtà impossibile da negare, e cioè che fare appello, oggi, al senso di solidarietà delle persone, alla loro sensibilità nei confronti della tutela dell’ambiente e della crisi climatica sarebbe abbastanza inutile, non convincerebbe nessuno a imbarcarsi in un progetto come quello delle CER. Occorre invece far perno sui risparmi economici. 

In una sorte di inversione delle intenzioni, credo che sarebbe più proficuo oggi convincere un ristretto numero di persone a realizzare una CER e usare questa esperienza per convincere gli altri che agire insieme porta benefici, anche, ma non solo, economici, piuttosto che far perno sul senso di solidarietà per costruire una comunità energetica,
Ma, come abbiamo visto, anche questo approccio non è affatto scevro da difficoltà.

Un altro ostacolo significativo è stata l’assoluta refrattarietà degli amministratori locali nei piccoli Comuni oggetto originario del nostro Progetto. Un’assenza dovuta sia a indifferenza “politica”, sia a una caratteristica che riguarda tutti i Comuni, ma soprattutto i più piccoli, ossia la mancanza di risorse e competenze a livello locale. Gli uffici tecnici, per esempio, sono sottodimensionati e spesso devono condividere il personale tra più amministrazioni: in queste condizioni non è facile seguire complessi iter burocratici.
Tuttavia, quando c’è una forte volontà politica, è possibile superare questi ostacoli e realizzare progetti concreti: un esempio è il comune di Torre Beretti, con appena 512 abitanti. Nonostante le dimensioni ridotte, qui l’ente locale è riuscito a creare la prima comunità energetica della provincia di Pavia. Ciò dimostra che, con la giusta determinazione, è possibile superare le difficoltà e realizzare progetti concreti.

Ma ora un grande rischio che si sta correndo, vista la lentezza con cui si vanno costituendo le CER in Italia anche grazie a una burocrazia che certo non aiuta, è che arrivino, e lo stanno facendo, grandi aziende del settore che si offrono per costituire CER “chiavi in mano”. Lo fanno sfruttando l’innegabile complessità dell’iter di costituzione e della gestione di una comunità energetica (costituire un soggetto giuridico, dotarsi di un ufficio amministrativo etc). Ma così facendo si spogliano le CER del loro significato più profondo: il controllo da parte dei cittadini. Un aspetto ancor più importante se si pensa che le CER possono diventare imprese energetiche che generano profitti da investire direttamente nei territori. Come? Creando reti di comunità energetiche che condividono risorse e competenze, reti in cui l’amministrazione è centralizzata. L’obiettivo: mantenere il controllo locale sull’energia, in modo che i benefici ricadano direttamente sulle comunità. Esperienze di questo tipo si stanno facendo in Piemonte e in Friuli, per esempio – link a video di Olivero https://www.youtube.com/watch?v=JV9JjCGPLK8).
Per questi motivi è importante muoversi rapidamente e organizzarsi dal basso. E sarebbe importante che gli Enti Locali facessero da capofila.

Per finire, vorrei ricordare che il concetto di beni comuni è fondamentale per comprendere il valore delle risorse naturali che appartengono a tutti. Un esempio emblematico è l’acqua,  oggetto di un importante referendum alcuni anni fa per ribadirne lo status di bene comune (referendum peraltro bellamente ignorato da tutti i governi succedutisi fin qui). Come l’acqua, anche il vento e i fotoni che ci arrivano dal sole sono un bene comune. E per ciò stesso, non “possedibili” da alcuno.

Qual è il tuo percorso personale e lavorativo? Vuoi condividere degli hobby/passioni che hai? 

Laureata in Biologia dopo la maturità classica, ho lavorato per un decennio come ricercatrice in ambito universitario, sia in Italia che negli Stati Uniti. Ma mi sono resa conto abbastanza presto che quello non sarebbe stato il mio futuro. Ho scelto così di divulgare la scienza, piuttosto che “farla” e sono diventata giornalista scientifica, professione che ho svolto, prima nell’ambito di un’agenzia di giornalismo, poi come presidente di una piccola cooperativa editoriale, fino al 2018, quando mi sono licenziata concedendomi un anno sabbatico. E qui inizia il terzo periodo della mia attività lavorativa, ma con sempre la scienza al centro. Nel 2019 infatti faccio la mia prima esperienza nella scuola affiancando un vecchio amico che avevo perso di vista, Gabriele Porrati.

Avevo conosciuto Gabriele – che peraltro mi ha fatto conoscere Semi di Scienza – partecipando alla battaglia del comitato ambientalista del nostro paese contro l’installazione di un impianto di bioetanolo, nel 2007. Da quegli incontri, su spinta di Gabriele, è nata l’associazione Cambiamo

con cui abbiamo organizzato due edizioni del Festival di Cambiamo a Zinasco, con l’obiettivo di creare un festival ecologista che combinasse concerti serali con momenti di divulgazione scientifica. Con il passare del tempo, gli impegni lavorativi mi hanno assorbito totalmente, e mi sono allontanata dall’attività in paese, mentre Gabriele spostava l’organizzazione dei festival a Pavia. Nel frattempo, Cambiamo si è trasformata da associazione a cooperativa di promozione sociale, con un focus particolare sulla divulgazione scientifica rivolta a studenti, insegnanti, politici locali e assessori.

Nel 2019 ho ripreso contatto con Gabriele in modo casuale. Lui stava lavorando a un progetto di educazione ambientale nelle scuole superiori di Pavia e mi ha chiesto di partecipare. L’esperienza mi è piaciuta, e ho toccato con mano quanto sia cruciale avvicinare i ragazzi alla questione ambientale, spiegare loro quanto è importante lottare da subito per cercare di fermare il progredire della crisi ambientale, così ho deciso così di provare a insegnarla, la scienza. Un ottimo modo per parlare di ecologia. Mi sono iscritta nelle graduatorie provinciali per l’insegnamento nelle scuole superiori di Pavia ed è così che ho fatto supplenze negli ultimi tre anni, e devo dire che la cosa mi piace molto. Mi sento “in missione per conto del Gabri” (sì, perché lui purtroppo se ne è andato all’inizio del 2021, e ci manca molto).

Gazebo a Zinasco (PV)

Come ti ha arricchito personalmente il progetto?

Per me, adolescente cresciuta nel movimento degli studenti degli anni ’70, è una sorta di àncora di salvezza. Perché? Il motivo è che non ho mai abbandonato l’idea che questo mondo si possa cambiare in meglio. 

Certo è che di questi tempi (soprattutto gli ultimi anni) tenere la barra dritta in tal senso è dura: in un mondo che invece di migliorare peggiora sempre di più (non bastava la gravissima crisi climatica, ci abbiamo aggiunto anche le guerre, si torna persino a parlare di armi nucleari, dopo tutte le battaglie pacifiste no-nuke!) il senso di spaesamento, di solitudine (i singoli sono sempre più chiusi in se stessi, nell’epoca dell’individualismo a go-go), di impotenza può essere paralizzante. 

Ebbene, in tutto ciò avere un obiettivo concreto come quello dello sviluppo delle comunità energetiche, per tutti i motivi già elencati, per me è ossigeno puro: recuperare il senso, la forza dell’agire comune per perseguire obiettivi che vanno nella direzione giusta può essere la risposta all’attuale degrado. Sono convinta infatti che ogni comunità energetica che prende vita sia un piccolo granello negli ingranaggi di un sistema che va deviato dal suo percorso suicida. E se, per esempio, la nostra Penisola (o tutta l’Europa, l’Africa) venisse ricoperta da una rete di comunità energetiche? Sarebbe splendido. Allora la speranza di salvare questo nostro mondo, agendo tutti insieme contro i pochi che traggono profitto da guerre e disastri, potrebbe diventare una bellissima realtà.

Approfondisci il progetto “Pratiche di sostenibilità. Cambiamo marcia all’energia”.

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Lotta ai rifiuti di plastica sulle spiagge toscane: intervista con Tosca Ballerini http://www.semidiscienza.it/2024/08/02/intervista-con-tosca-ballerini/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=intervista-con-tosca-ballerini http://www.semidiscienza.it/2024/08/02/intervista-con-tosca-ballerini/#respond Fri, 02 Aug 2024 18:31:49 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2872

In questa intervista abbiamo il piacere di parlare con Tosca Ballerini, scienziata e giornalista, nonché coordinatrice del progetto “Profili Antropici – La plastica come misura del nostro tempo”

Profili Antropici è un progetto di citizen science per quantificare i rifiuti antropici su tre spiagge della Toscana. Questo progetto, realizzato da Semi di Scienza in collaborazione con Sons of the Ocean, ha utilizzato il protocollo della Strategia Marina Europea per lo studio del marine litter, coinvolgendo 55 cittadini e analizzando i rifiuti in modo scientifico. I risultati sulle quantità e tipologie di macro rifiuti più abbondanti sulle spiagge toscane mostrano molte somiglianze con le spiagge a livello europeo.

Che cosa è il progetto Profili antropici?

Il progetto Profili Antropici nasce nel periodo della pandemia da Covid-19. È un’iniziativa di citizen science finalizzata alla quantificazione dei rifiuti antropici presenti su tre spiagge della Toscana. Per questo progetto abbiamo utilizzato il protocollo di raccolta e categorizzazione della Strategia Marina europea.

Il progetto è stato realizzato da Semi Di Scienza in collaborazione con un’altra associazione chiamata Sons of the Ocean e finanziato dall’8×1000 della Chiesa Valdese. Anche le amministrazioni dei comuni coinvolti ci hanno supportato durante il progetto, concedendoci il loro patrocinio. Io sono stata la coordinatrice del progetto, e hanno collaborato con me Yuri Galletti di Semi di Scienza e Daniela Tacconi di Sons of the Ocean. Insieme abbiamo scelto le zone di campionamento e abbiamo formato 55 cittadini che hanno partecipato al progetto. Durante le attività di raccolta e classificazione dei rifiuti, uno di noi era sempre presente per supervisionare e supportare i partecipanti.

Tra novembre 2022 e luglio 2023 abbiamo raccolto e classificato 11.237 rifiuti su tre spiagge toscane (Bocca di Serchio a Marina di Vecchiano, Cala del Leone a Livorno, Lillatro a Rosignano Marittimo). In ciascuna spiaggia abbiamo individuato un sito di campionamento e abbiamo svolto tre monitoraggi seguendo il protocollo della Strategia marina europea.

Abbiamo analizzato i rifiuti maggiormente presenti sulle spiagge e confrontato i nostri dati con quelli a livello europeo, inclusi quelli forniti dall’Agenzia europea dell’ambiente. Il nostro rapporto ha confermato le tendenze riscontrate a livello europeo, evidenziando tra i rifiuti più comuni mozziconi di sigaretta, bottiglie di plastica per bevande, tappi e coperchi in plastica, bastoncini di plastica per cotton fioc e pacchetti di patatine / incarti per dolciumi. In totale, nove oggetti su dieci erano di plastica, e quattro oggetti su dieci oggetti in plastica monouso secondo la direttiva europea sulle plastiche monouso. In tutti i siti e durante tutti i monitoraggi abbiamo osservato una quantità di rifiuti molto più grande della soglia di 20 rifiuti / 100 m di spiaggia indicata dalla Strategia marina per il buono stato ambientale (Good Environmental Status, GES). 

Questo tipo di dati è fondamentale per fare advocacy a livello comunale, cioè promuovere l’adozione di atti amministrativi per regolare in maniera efficace i rifiuti che più comunemente finiscono abbandonati in natura e nelle zone urbane. 

I risultati di Profili Antropici sono stati presentati al Decimo Simposio Internazionale “Il Monitoraggio Costiero Mediterraneo: problematiche e tecniche di misura” tenutosi a Livorno dal 11 al 13 giugno 2024. Lo studio completo sarà pubblicato negli atti del congresso. Per saperne di più visita questo articolo.

Classificazione dei rifiuti durante il primo monitoraggio a Bocca di Serchio, Marina di Vecchiano (Pisa). Da sinistra: Yuri Galletti, Tosca Ballerini, Daniela Tacconi.

Durante il progetto avete collaborato con i comuni. Puoi dirci qualcosa?

Uno degli obiettivi del progetto Profili Antropici era anche collaborare con le amministrazioni comunali dei tre comuni interessati, per capire cosa possono fare loro a livello locale. Le amministrazioni comunali sono infatti vicine ai cittadini e possono essere degli attori nel cambiamento necessario per ridurre o far scomparire il monouso di oggetti in plastica da quelle applicazioni dove esistono valide alternative come il riuso. 

Vuoi approfondire l’argomento della plastica monouso?

Molta attenzione va prestata alle cosiddette “regrettable substitutions”, che vietano un prodotto monouso in plastica tradizionale, ma ne consentono o addirittura promuovono l’utilizzo se fatto in altri materiali monouso, senza prendere in considerazione gli impatti ambientali di tali materiali alternativi né la loro possibile tossicità. Penso ad esempio al passaggio dall’acqua venduta in bottiglie di plastica monouso all’acqua venduta in cartoni di plastica monouso. Non ha senso da un punto di vista ambientale. Oppure il grande problema delle plastiche con caratteristiche di biodegradabilità e compostabilità, conosciute con il nome commerciale di “bioplastiche”. Ci sono delle applicazioni in cui usare un materiale plastico con caratteristiche di biodegradabilità e compostabilità ha dei vantaggi ambientali ed economici, come ad esempio i sacchetti per il conferimento dell’umido per quello che riguarda i rifiuti domestici. In altri casi invece, il passaggio da una plastica convenzionale a una “bioplastica” sposta semplicemente un problema da un materiale ad un altro, senza ridurre gli impatti ambientali come il littering. È questo il caso di tutti i prodotti monouso vietati dalla Direttiva europea sulle plastiche monouso (piatti, stoviglie, bastoncini per cotton fioc) che però sono ancora ammessi in Italia a causa di un recepimento difforme della direttiva stessa.

A livello internazionale gli interventi attuali non sono sufficienti per contenere l’inquinamento da plastica. È urgente ridurre la produzione di plastica primaria attraverso azioni a monte. La promozione del riuso è una delle azioni più importanti che possiamo fare. In questo senso, i comuni possono contribuire sviluppando strategie integrate che includono appalti pubblici, esemplarità e animazione territoriale.

Nel progetto Profili Antropici abbiamo dunque  identificato le misure ambientali già messe in atto dai tre comuni della costa toscana e abbiamo indicato altre possibili misure per ridurre l’inquinamento da plastica nei comuni coinvolti.

Hai trovato delle difficoltà?

No, devo dire che è stato molto piacevole lavorare sia con Yuri e Daniela, che con le amministrazioni comunali perché fin dall’inizio sono state interessate al progetto. Spero che potremo continuare con il progetto Profili Antropici nel futuro.

Quali sono i punti di forza del progetto Profili Antropici?

Uno dei principali punti di forza del progetto Profili Antropici è stato coinvolgere fin dall’inizio vari tipi di stakeholder, inclusi i cittadini. Molti cittadini già partecipavano alle pulizie delle spiagge, quindi erano già sensibili all’argomento dell’inquinamento da plastica, ma spesso dopo le operazioni di pulizia buttavano via i rifiuti raccolti. Noi, invece, ci siamo concentrati sulla catalogazione dei rifiuti, creando l’opportunità di discutere su come evitare che questi oggetti diventino rifiuti in primo luogo. 

Quindi abbiamo aumentato la consapevolezza dei partecipanti.

Un altro punto di forza è l’uso del metodo scientifico, seguendo il protocollo indicato dagli esperti della Strategia Marina Europea.

Non amo colpevolizzare il consumatore per l’abbandono dei rifiuti, poiché questa strategia è stata portata avanti dalle multinazionali per incolpare il cittadino e evitare l’applicazione da parte dei legislatori del principio della responsabilità estesa del produttore (EPR). Secondo questo principio, il produttore è responsabile degli imballaggi che mette in commercio anche dopo che sono diventati rifiuti. Questo principio è incluso nella legislazione europea, ma è ancora applicato in maniera troppo debole perché il contributo ambientale pagato attualmente dai produttori  non copre tutti  costi legati agli impatti dei rifiuti prodotti. 

Il progetto è terminato? Ci sarà una “seconda edizione”?

Attualmente, il progetto è concluso, ma abbiamo la volontà di proseguire. Stiamo cercando nuovi finanziatori e partner per espandere il nostro progetto, coinvolgendo altre amministrazioni e gruppi di associazioni. 

Ci piacerebbe formare altre associazioni che al momento si concentrano sulle pulizie delle spiagge senza raccogliere dati e che vogliono fare un passo in avanti, partecipando a questa categorizzazione rigorosa che consente di produrre dati scientifici.

Abbiamo anche sottomesso un nuovo progetto di citizen science sulla plastica ai Valdesi, questa volta rivolto alle scuole. Speriamo che venga approvato, poiché sarebbe complementare al lavoro svolto con le amministrazioni comunali.

Come ti ha arricchito personalmente il progetto?

Mi sono divertita molto a lavorare su questo progetto, e credo sia fondamentale che il lavoro che si fa piaccia. 

Sono orgogliosa perché nonostante fosse un piccolo progetto, siamo riusciti a fare una pubblicazione scientifica. Penso che i risultati che abbiamo ottenuto siano molto importanti per due motivi, primo perché abbiamo prodotto dei dati scientifici inediti per queste tre spiagge della Toscana e secondo per il rapporto di fiducia e collaborazione instaurato con le tre amministrazioni che cercheremo di portare avanti.

Questo progetto, secondo me, è un ottimo esempio di come si possa fare scienza al di fuori del mondo accademico.

Abbiamo parlato del progetto. Vuoi dirci qualcosa sulla tua vita personale e lavorativa?

Mi sono laureata in Scienze Naturali all’Università degli Studi di Firenze e ho fatto un dottorato di ricerca in Scienze Polari all’Università degli Studi di Siena. Ho poi lavorato in ambito accademico negli Stati Uniti e in Francia. 

Nel 2014 ho conseguito anche un diploma in giornalismo scritto e multimediale. 

Sono arrivata ad occuparmi dell’inquinamento da plastica un po’ per caso, grazie ad Expédition MED, un’associazione francese che organizza laboratori di citizen science a bordo di una barca a vela per studiare l’inquinamento da microplastiche in mare. 

Per quattro anni, ho lavorato come coordinatrice scientifica per questa associazione. Parallelamente a queste attività di citizen science, ho iniziato a interessarmi all’inquinamento da plastica anche dal punto di vista giornalistico, focalizzandomi su cosa possiamo fare per ridurre l’inquinamento da plastica. 

Per il magazine Materia Rinnovabile ho scritto sugli impatti delle plastiche in mare, sulla direttiva europea sulle plastiche monouso e su come questa è stata applicata in Italia. Ho cominciato a scrivere sui sistemi di deposito cauzionale per i contenitori di bevande, diventando quest’ultimo un mio elemento di specializzazione. 

Come giornalista, ho seguito anche il Regolamento europeo imballaggi e  rifiuti da imballaggio, e sto seguendo le negoziazioni internazionali per un trattato globale sulla plastica.

Tra le altre cose, attualmente, collaboro con la campagna nazionale italiana “A Buon Rendere – Molto più di un vuoto“, sostenuta, tra gli altri, anche da Semi di Scienza. Questa campagna promuove l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per i contenitori di bevande, applicando il principio del “chi inquina paga” sia all’industria che al consumatore. Se un consumatore non gestisce correttamente l’oggetto a fine vita, perde la cauzione. Ritengo che sia fondamentale avere leggi ambientali efficaci, e che sia responsabilità della nostra generazione farle attuare.

Durante lo svolgimento del progetto “Pelagos Plastic Free“, finanziato dal Santuario Pelagos dei Cetacei e condotto da Expédition MEd e Legambiente Italia, ho conosciuto Yuri Galletti, presidente dell’associazione Semi di Scienza, ed è lì che è stato messo a dimora il primo seme di Profili Antropici.

Approfondisci il progetto, scarica il poster con i risultati del progetto o leggi la traduzione italiana dell’articolo scientifico che abbiamo scritto, e leggi il confronto tra l’inquinamento sulle coste della Toscana e l’inquinamento a livello europeo.

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Profili Antropici http://www.semidiscienza.it/2024/07/31/profili-antropici/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=profili-antropici http://www.semidiscienza.it/2024/07/31/profili-antropici/#respond Wed, 31 Jul 2024 08:47:34 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2869 Il testo in italiano.

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Beach litter: confronto tra i rifiuti più abbondanti sulle spiagge europee e tre spiagge della Toscana http://www.semidiscienza.it/2024/07/16/beach-litter-confronto-tra-i-rifiuti-piu-abbondanti-sulle-spiagge-europee-e-tre-spiagge-della-toscana/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=beach-litter-confronto-tra-i-rifiuti-piu-abbondanti-sulle-spiagge-europee-e-tre-spiagge-della-toscana http://www.semidiscienza.it/2024/07/16/beach-litter-confronto-tra-i-rifiuti-piu-abbondanti-sulle-spiagge-europee-e-tre-spiagge-della-toscana/#respond Tue, 16 Jul 2024 16:28:24 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2865 È uscito il 3 luglio l’ultimo Marine Litter Watch – Europe’s Beach Litter Assessment dell’Agenzia europea dell’ambiente e dell’European Topic Centre Biodiversity and ecosystems. Il confronto con i risultati del nostro progetto di Citizen Science “Profili Antropici – La plastica come misura del nostro tempo” durante il quale sono stati monitorati i rifiuti spiaggiati su tre spiagge della Toscana mostra molte somiglianze.

Il problema

L’inquinamento da plastica e altri inquinanti chimici è al di fuori dello spazio operativo sicuro dei confini planetari per l’umanità. I rifiuti, in particolare la plastica, si accumulano nei sistemi acquatici, soprattutto sulle coste. Ogni anno, 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, costituendo l’80% dei rifiuti marini.

La Strategia europea sulla plastica (COM/2018/028final) ha fissato un obiettivo di riduzione del 30% per i rifiuti marini e la Direttiva sulle plastiche monouso (SUPD, 2019/904/UE) ha stabilito l’obiettivo per gli Stati membri dell’UE di ridurre l’impatto di alcuni prodotti di plastica monouso (Single use plastics, SUP) nell’ambiente, riducendone o vietandone l’uso. La Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (MSFD, 2008/56/CE) ha come obiettivo il raggiungimento di un buono stato ambientale (Good Environmental Status, GES) delle acque marine dell’UE. Al tal fine, e relativamente ai rifiuti spiaggiati (beach litter), la Strategia per l’ambiente marino ha fissato un valore soglia di 20 rifiuti/100 m di spiaggia, stimando che questo valore sia in grado di ridurre i danni dei rifiuti spiaggiati a un livello sufficientemente cautelativo.

I rifiuti spiaggiati più abbondanti a livello europeo

L’iniziativa Marine Litter Watch (MLW) dell’Agenzia europea dell’ambiente coinvolge i cittadini nella raccolta dei rifiuti e dei dati sulle spiagge europee. Questo rapporto, basandosi su risultati precedenti, analizza i dati del 2022 nel contesto degli sforzi dell’UE per affrontare l’inquinamento da plastica.

Il database MLW fornisce informazioni essenziali sullo stato di inquinamento da rifiuti delle spiagge in Europa. Integra i programmi di monitoraggio della Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e supporta la valutazione delle politiche dell’UE, come il Piano d’azione per l’inquinamento zero e la Direttiva sulle plastiche monouso (SUP). Sono inclusi i contributi di oltre 60 comunità e organizzazioni, che hanno registrato quasi 1,5 milioni di rifiuti dalle spiagge europee nell’ultimo decennio.

L’analisi presentata nell’ultimo rapporto Marine Litter Watch – Europe’s Beach Litter Assessment rivela che a livello europeo l’86% degli oggetti registrati sono di plastica e che i prodotti in plastica monouso (SUP) rappresentano il 52% del totale dei rifiuti. I mozziconi di sigaretta sono un problema significativo, rappresentando il 23% dei rifiuti. Gli oggetti legati alla pesca sono meno diffusi, ma notevoli nell’Atlantico nord-orientale. Il Mar Nero è il più inquinato, seguito dal Mediterraneo e dal Mar Baltico. Circa il 90% dei siti esaminati supera la soglia fissata dalla Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino per il buono stato ambientale GES per i rifiuti spiaggiati.

I rifiuti spiaggiati più abbondanti su tre spiagge della Toscana

Nell’ambito del progetto “Profili Antropici” tra Novembre 2022 e Luglio 2023 abbiamo raccolto e classificato 11’237 rifiuti su tre spiagge della Toscana nei comuni di Marina di Vecchiano, Livorno e Rosignano Marittimo. In ciascuna spiaggia abbiamo individuato un sito di campionamento e abbiamo svolto tre monitoraggi in ciascun sito seguendo il protocollo della Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino.

L’analisi rivela che l’88,39% dei rifiuti da noi trovati sono di plastica, mentre i prodotti in plastica monouso rappresentano (articoli SUP) corrispondono al 36,96% del totale dei rifiuti. I più abbondanti nel nostro studio sono: mozziconi di sigaretta (22,69%), bottiglie di plastica per bevande (4,38%, tutte le dimensioni insieme), tappi/coperchi di plastica per bevande (2,89%), bastoncini di plastica per cotton fioc (2,79%), pacchetti di patatine/incarti di dolciumi (1,61%).

Nel nostro studio abbiamo rilevato un’abbondanza mediana di rifiuti di 1’266 oggetti/100 m di spiaggia. In tutti i siti e durante tutti i monitoraggi è stata superata la soglia della Strategia Marina per il buono stato ambientale GES.

Le soluzioni

Le evidenze scientifiche dimostrano che gli interventi a monte e a valle, come l’ottimizzazione della gestione dei rifiuti, le tecnologie di rimozione e il miglioramento della circolarità, non sono sufficienti a contenere l’inquinamento da plastica nel breve, medio o lungo periodo. Per affrontare l’inquinamento da plastica è urgente mettere in atto interventi a monte per ridurre la produzione di plastica primaria.

Parallelamente alle azioni a livello internazionale e nazionale, i comuni possono limitare in modo significativo l’inquinamento da plastica monouso sul proprio territorio attraverso lo sviluppo di strategie integrate che includano gli appalti pubblici, l’esemplarità e l’animazione territoriale.

Nell’ambito del progetto Profili Antropici oltre al monitoraggio dei rifiuti spiaggiati abbiamo identificato le misure ambientali messe in atto dai tre comuni della costa Toscana per affrontare gli articoli in plastica monouso (SUP) e abbiamo evidenziato ulteriori possibili misure ambientali per ridurre l’inquinamento da plastica a livello locale.

Abbiamo presentato i risultati del nostro studio al Decimo Simposio Internazionale “Il Monitoraggio Costiero Mediterraneo: problematiche e tecniche di misura” svoltosi a Livorno dall’11 al 13 giugno 2024 al Museo di Storia Naturale del Mediterraneo e organizzato dall’Istituto di BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBE) in collaborazione con la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale.

Lo studio integrale Ballerini T., Galletti Y., Tacconi D. (2024) “Plastic pollution on the Tuscan coast: environmental measures municipalities can put in place to reduce itsarà pubblicato nei prossimi mesi negli atti del congresso.

Il progetto Profili Antropici è stato condotto da Semi di Scienza in collaborazione con Sons of the Ocean ed è stato finanziato dall’8 per mille della Chiesa Valdese. Durante tutto il progetto c’è stata una attiva e positiva collaborazione con gli assessori all’ambiente dei comuni di Marina di Vecchiano, Livorno, Rosignano Marittimo.

Approfondisci il progetto e leggi l’intervista a Tosca Ballerini sulle possibili soluzioni all’inquinamento da plastica monouso, oppure scarica il poster con i risultati del progetto o leggi la traduzione italiana dell’articolo scientifico che abbiamo scritto.

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Sperimentazione Animale, a che punto siamo http://www.semidiscienza.it/2024/07/08/sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo http://www.semidiscienza.it/2024/07/08/sperimentazione-animale-a-che-punto-siamo/#respond Mon, 08 Jul 2024 13:58:35 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2861 di Laura Calvillo

La sperimentazione animale è senz’altro un tema caldo, sia per l’impatto che ha sull’emotività dell’opinione pubblica che per il ruolo indiscusso nella ricerca di base.

L’Europa è forse il continente dove i diritti degli animali sono più tutelati, prova ne sia la direttiva 23/2010 che detta le linee guida da adottare dai singoli paesi, direttiva che è stata via via recepita dai paesi membri. L’Italia ha implementato le linee guida nel 2014 con la legge 26/2014, che nonostante le numerose problematiche non ancora risolte, ha dato una spinta molto forte all’innalzamento dello standard di qualità degli allevamenti e delle procedure. Il punto chiave è giustamente la valutazione del possibile livello di sofferenza esperibile dall’animale, sofferenza che per legge deve essere ridotta al massimo, fino ad un ideale livello zero. La legge quindi ruota tutta intorno a due punti fondamentali: rimpiazzare l’animale ove possible e ridurre al massimo le sofferenze e il numero di animali impiegati, mantenendo la significatività statistica grazie a calcoli precisi (3R: Rimpiazzare, Rifinire, Ridurre). L’iter autorizzativo è molto severo e abbastanza burocratizzato complicando molto la ricerca, fino quasi a scoraggiarla, e questa, va detto, è una delle problematiche che da anni i ricercatori devono gestire. Ma tralasciando gli inevitabili problemi politico-burocratici, un fatto è ormai provato: anche i mammiferi meno sviluppati come i piccoli roditori hanno capacità empatiche importanti e provano sofferenza anche psicologica. Studi di alto livello [1–3] hanno infatti dimostrato come il dolore fisico alteri l’espressione genica, inibisca il funzionamento del nervo vago, stimoli l’attivazione immunitaria e causi, tra le altre alterazioni, un incremento della neuroinfiammazione. Lo stress ha effetti analoghi in maniera dose-dipendente [4,5] e impatta anche sulla termoregolazione e sul funzionamento del tessuto adiposo bruno e dell’ipotalamo [6,7]. Oggi le ricerche analizzano fenomeni e meccanismi cellulari sempre più fini è sofisticati, è ovvio che a fianco dell’importante problema etico ci sia anche il rischio di veder compromessi i risultati delle ricerche qualora dolore e stress non vengano gestiti e impediti. Ma a che punto siamo nella gestione della sofferenza e nell’utilizzo di metodi che possano sostituire l’animale da laboratorio? Da più di vent’anni gruppi di ricerca in vari paesi si dedicano esclusivamente a questi problemi e oggi abbiamo strumenti importanti per quantificare la sofferenza e per ridurla. Esistono metodi di osservazione e valutazione del comportamento che permettono ai ricercatori di quantificare il benessere [8–12] e di trovare le giuste strategie per garantire la serenità degli animali [13–15]. Allo stesso tempo tecnologie di imaging permettono multiple osservazioni su un singolo animale senza procedure invasive, quindi senza causare sofferenza [16,17].

La ricerca stessa sta quindi trovando soluzioni importanti al problema della riduzione del numero di animali e delle loro eventuali sofferenze.

Ma c’è un altro campo di studi estremamente affascinante che sta sviluppando dispositivi artificiali i quali, almeno in parte, riproducono la complessità degli organismi viventi: stiamo parlando della bioingegneria e delle colture cellulari di prossima generazione. Organoidi, colture sotto flusso e organi su chip stanno rivoluzionando la ricerca medica di base: la spinta etica a trovare alternative all’uso dell’animale ha prodotto straordinari strumenti che colmano vuoti importanti nelle metodiche di laboratorio.

Siamo ancora lontani dal poter rimpiazzare l’animale, e ci vorranno forse decenni, ma di sicuro la tecnologia sta già permettendo osservazioni e scoperte che non erano pensabili usando gli animali o le classiche colture cellulari. Ad oggi un laboratorio di medie dimensioni può permettersi l’utilizzo di bioreattori, camere di coltura dove le cellule possono crescere in tre dimensioni, riproducendo in maniera semplificata gli organi di appartenenza, e sotto lo stimolo del flusso del medium di coltura, che mima la circolazione sanguigna. Tutte condizioni impossibili nelle classiche colture cellulari [18,19]. Oppure si possono coltivare cellule dell’epitelio polmonare su un microchip riproducendo le funzioni polmonari per studiare ad esempio l’edema; questo dispositivo può analizzare gli scambi aria-fluidi in tempo reale e può essere connesso ad un computer [20,21] (https://wyss.harvard.edu/media-post/lung-on-a-chip/).

Grande interesse ha poi suscitato la creazione di un organoide cerebrale che, nonostante la ridotta capacità vitale, ha aperto nuovi orizzonti nella ricerca neurologica [22,23]. E ancora, la creazione delle iPS, che sono valse il Nobel al ricercatore che le ha prodotte, permettono di creare una cellula differenziata di qualsiasi organo partendo da semplice cellule di fibroblasti che vengono “trasformati” nella cellula di interesse. Ad oggi questa tecnologia permette di prelevare fibroblasti da pazienti con patologie genetiche, ad esempio la SLA, differenziarli nelle cellule appartenenti all’organo malato e studiare direttamente sul corredo genetico alterato del paziente i meccanismi d’azione o eventuali terapie [24].

Come possiamo vedere, la scienza aiuta la scienza. I problemi anche etici che nascono dalla ricerca scientifica trovano la loro soluzione nel metodo scientifico. Non nelle ideologie, non nella persecuzione di categorie professionali attraverso la gogna mediatica o la disinformazione.

Mai come in questo periodo storico il cittadino è chiamato ad essere consapevole e responsabile delle fonti da cui trae le informazioni, informazioni che lo guideranno in una scelta politica, che sia una raccolta firme o un’altra forma di attivismo civico. Forzature ideologiche hanno drammaticamente portato a scelte politiche sbagliate, a procedure di infrazione che il nostro paese si è trovato a fronteggiare e, ancor peggio, alla paralisi della ricerca di base che, già sotto finanziata, soffre dell’endemico disinteresse da parte delle istituzioni.

In ultima analisi saranno i cittadini le prime vittime della progressive riduzione della ricerca, perché da sempre il livello delle cure mediche e le ricadute tecnologiche nel mondo del lavoro dipendono dalla mole di ricerche che vengono prodotte in un paese. E storicamente i paesi che sono diventati leader mondiali sono sempre stati quelli che hanno investito nella ricerca e nella cultura.

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20.        Zamprogno P, Wüthrich S, Achenbach S, Thoma G, Stucki JD, Hobi N, et al. Second-generation lung-on-a-chip with an array of stretchable alveoli made with a biological membrane. Commun Biol [Internet]. 2021 Feb 5;4(1):168. Available from: https://www.nature.com/articles/s42003-021-01695-0

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Le dipendenze da sostanze stupefacenti http://www.semidiscienza.it/2024/06/26/le-dipendenze-da-sostanze-stupefacenti/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=le-dipendenze-da-sostanze-stupefacenti http://www.semidiscienza.it/2024/06/26/le-dipendenze-da-sostanze-stupefacenti/#respond Wed, 26 Jun 2024 13:24:03 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2847

Le dipendenze da sostanze sono un fenomeno complesso e multifattoriale, coinvolge molti aspetti della vita di un individuo, dalla salute fisica e mentale alle relazioni sociali e lavorative. 

L’OMS definisce la “dipendenza patologica” come “condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”.

Esistono diversi tipi di dipendenza, tra cui sostanze stupefacenti (eroina, cocaina, cannabinoidi e oppiacei); farmaci antidepressivi, ansiolitici o sonniferi; fumo di sigaretta, alcool.

Cause e prevenzione delle dipendenze

Si pensa che l’insorgenza delle dipendenze sia dovuta a tre fattori: neurobiologici, dovuti a caratteristiche genetiche, a variazioni della disponibilità di alcuni neurotrasmettitori – dopamina, serotonina, noradrenalina – che regolano il tono dell’umore); individuali dovuti a esperienze di vita e alla personalità come ricerca di sensazioni forti, propensione al rischio, desiderio esasperato di successo, bassa autostima; socio-ambientali dovuti all contesto familiare, socio culturale ed economico della comunità in cui il soggetto vive, alle abitudini del gruppo di appartenenza, alla presenza o no di reti di sostegno sociale.

Fattori sociali, culturali sono molto importanti per quanto riguarda l’inizio e il mantenimento (o la recidiva) dell’uso di sostanze. Vedere membri della famiglia e coetanei che utilizzano sostanze aumenta il rischio di iniziare a usarle. I soggetti in terapia trovano molte più difficoltà se sono circondati da altri utenti che utilizzano anche tale sostanza.

La prevenzione è il mezzo più efficace per evitare e ridurre i rischi e i danni alla salute dovuto all’uso e abuso di sostanze psicoattive e alla comparsa di disturbi comportamentali. Le ricerche e le linee guida internazionali propongono l’adozione di approcci strategici multidisciplinari per contrastare e ridurre l’offerta attraverso politiche di regolamentazione dell’accesso; diminuire la domanda modificando gli atteggiamenti delle persone; favorire il coordinamento tra le diverse politiche settoriali. 

Gli interventi possono essere rivolti alla popolazione generale o mirati a individui vulnerabili o con comportamenti problematici prima dell’insorgere della dipendenza.

Come agiscono le droghe

Non tutti i modi di agire delle droghe sono conosciuti, però sappiamo che esiste la corteccia cingolata anteriore, un’area del nostro cervello, importante nella motivazione e nel rinforzo del comportamento.

Nel momento in cui scatta la dipendenza viene iperstimolata, portando alla continua e spasmodica ricerca di quella determinata sostanza o determinato comportamento.

Le droghe coinvolgono lo scambio di informazioni e segnali tra i neuroni del sistema nervoso attraverso i neurotrasmettitori. Questi possono essere stimolanti, come la noradrenalina, adrenalina, dopamina e serotonina, o inibitori, come le endorfine, modulando vari aspetti dell’attività cerebrale. 

Ogni alterazione nell’azione dei neurotrasmettitori, sia di entità che di durata, compromette l’equilibrio fisiologico del cervello.

Le droghe agiscono modificando il rilascio e l’azione dei neurotrasmettitori, influenzando così il loro effetto e la durata.

Indipendentemente dal meccanismo di azione specifico, tutte le droghe aumentano il rilascio di dopamina nella parte del cervello associato alla gratificazione/ricompensa, portando inizialmente a una sensazione di elevata gratificazione. Con il tempo, le attività che solitamente procurano piacere normale diventano meno appaganti, spingendo l’individuo a cercare continuamente dosi sempre maggiori per ottenere una gratificazione sempre più ridotta.

Effetti e conseguenze delle dipendenze da sostanze

Le conseguenze negative sulla salute possono essere principalmente di tre tipi: dirette e dovute agli effetti farmacologici della sostanza e dalla via di assunzione; indirette, come epatite B e C, AIDS, disturbi del sistema nervoso centrale (SNC); sociali legate a comportamenti illegali, violenze, incidenti. 

Le droghe possono essere suddivise in diverse categorie in base ai loro effetti: stimolanti, depressivi, allucinogeni e oppiacei. Gli stimolanti, come la cocaina e le anfetamine, aumentano l’attività del sistema nervoso, portando a un incremento temporaneo dell’energia e della vigilanza. I depressivi, come l’alcol e i barbiturici, riducono l’attività del sistema nervoso centrale, provocando sedazione e riduzione dell’ansia. Gli allucinogeni, come l’LSD e la psilocibina, alterano la percezione della realtà, causando allucinazioni visive e uditive. Gli oppiacei, come l’eroina e la morfina, sono potenti antidolorifici che agiscono sui recettori del dolore nel cervello.

Dal punto vista della salute mentale le sostanze causano ansia, depressione, schizofrenia, apatia, paranoia, disturbi bipolari e della personalità.

Dal punto di vista fisico gli effetti delle droghe sono: danni al sistema nervoso centrale, convulsioni, danni irreversibili alla memoria, infertilità, impotenza, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, lesioni polmonari, lacerazioni epiteliali e venose, overdose e talvolta morte.

Trattamento delle dipendenze

Il trattamento varia a seconda della sostanza e delle circostanze. È impegnativo e comprende uno o più dei seguenti elementi: disintossicazione acuta, prevenzione e gestione dell’astinenza, cessazione dell’uso, mantenimento dell’astinenza. Le diverse fasi possono essere gestite con l’uso di farmaci, consulenze psicologiche e gruppi di supporto. Trattare una dipendenza significa aiutare l’individuo a interrompere l’uso della sostanza, prevenendo le ricadute e recuperando il proprio ruolo sociale e familiare.

Una volta riconosciuta e diagnosticata la dipendenza, è fondamentale rivolgersi a uno specialista capace di fornire un aiuto reale. Il primo passo per il paziente è decidere di uscirne definitivamente. 

I trattamenti per le dipendenze variano e possono includere terapie farmacologiche, percorsi psicologici con professionisti e approcci innovativi. Tra questi abbiamo la stimolazione magnetica transcranica, che stimola aree specifiche del cervello tramite un campo magnetico e la Mindfulness integrata con la psicoterapia cognitivo-comportamentale, particolarmente efficace nel trattamento delle dipendenze da sostanze e nella prevenzione delle ricadute. 

La scelta del trattamento dipende dal caso specifico e può prevedere una combinazione di approcci. La terapia farmacologica è spesso utilizzata per gestire i sintomi dell’astinenza e prevenire le ricadute. I farmaci aiutano a eliminare i sintomi della disassuefazione e a prevenire il riuso della sostanza.

Tra le psicoterapie più efficaci rientrano la terapia cognitivo comportamentale, l’approccio motivazionale e la terapia dialettico comportamentale. Questi approcci hanno dimostrato risultati significativi nel raggiungimento degli obiettivi terapeutici e nella prevenzione delle ricadute.

Sitografia:

https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/disturbi-correlati-all-uso-di-sostanze/disturbi-da-uso-di-sostanze

https://www.oprs.it/psicologi-e-psicologia-in-sicilia/2023/12/06/dalluso-allabuso-di-sostanze-cause-effetti-possibili-rimedi/

https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/argomenti-speciali/droghe-illecite-e-tossici

https://www.politicheantidroga.gov.it/it/notizie-e-approfondimenti/dipendenze-le-droghe/cosa-sono/

https://www.salute.gov.it/portale/prevenzione/dettaglioContenutiPrevenzione.jsp?lingua=italiano&id=5763&area=prevenzione&menu=obiettivi2020

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Intervista con Luciano Celi http://www.semidiscienza.it/2024/06/14/intervista-con-luciano-celi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=intervista-con-luciano-celi http://www.semidiscienza.it/2024/06/14/intervista-con-luciano-celi/#respond Fri, 14 Jun 2024 10:00:00 +0000 http://www.semidiscienza.it/?p=2841 In occasione della Giornata Mondiale del Vento, il nostro socio ed esperto di energia risponde a qualche domanda su questa preziosa fonte rinnovabile.

Cosa è la giornata mondiale del vento?

Come molte ricorrenze è un modo per sensibilizzare a livello internazionale l’importanza di questa preziosa fonte di energia rinnovabile, organizzata in Italia dall’ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento). L’obiettivo è quello di diffondere gli aspetti fondamentali dell’energia eolica, attraverso azioni coordinate da WindEurope, dal Global Wind Energy Council e dalle associazioni nazionali. Anche quest’anno la manifestazione ha ricevuto  l’adesione del Presidente della Repubblica e i Patrocini del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero per i beni e le attività culturali, oltre che del Comune di Roma.

Cosa è l’energia eolica?

Si tratta dell’energia prodotta dal movimento di masse d’aria. Possiamo pensare l’aria come un fluido a bassa densità e il fatto che queste masse, a seguito di differenti pressioni e temperature dell’aria stessa in zone contigue, si muovano generando il vento è di importanza fondamentale per la dinamica della meteorologia e del clima. Il vento ha solitamente una direzione e una intensità che possono essere sfruttate attraverso quelle che, con un linguaggio non proprio tecnico, sono conosciute come “pale eoliche” ma che in realtà si chiamano aerogeneratori. Il vento che “spazza” le pale, le fa ruotare e questa rotazione genera energia (elettrica) – per la legge dell’induzione elettromagnetica.

Perché è importante l’energia eolica e qual è il ruolo dell’eolico nella transizione energetica? 

L’energia eolica è una componente importantissima nel percorso che ci dovrebbe portare alla completa decarbonizzazione e al bando dei combustibili fossili che ancora mandando letteralmente avanti il mondo. L’uso di questi ultimi, come sappiamo, non è più possibile se non vogliamo compromettere definitivamente il clima e rendere la Terra un luogo ostile alla vita umana. I due pilastri sui quali quindi possiamo pensare di costruire il percorso di transizione verso le energie rinnovabili sono il fotovoltaico e l’eolico. Sappiamo che il tallone d’Achille delle energie rinnovabili è l’intermittenza: basta una nuvola, il brutto tempo o semplicemente il calare del sole e il fotovoltaico smette di produrre; basta che il vento cessi e gli aerogeneratori si fermano. Ma la buona notizia è che queste due risorse (sole e vento) sono quasi complementari – soprattutto a livello stagionale, anche se non alle nostre latitudini. Questo vuol dire che soprattutto d’inverno, quando il sole sorge tardi, tramonta presto e spesso è coperto dalle nuvole, in certe zone il vento soffia quasi costante e compensa la mancanza di vento. Queste due risorse sono dappertutto anche se non “distribuite” in modo omogeneo – l’Italia, lo sappiamo, è il “paese del sole”, ma ha poco vento, mentre in molti paesi dell’Europa del nord vale esattamente il contrario. Questo ci suggerisce – anzi: ci insegna! – per altro che da soli (come singoli individui, ma anche come singoli paesi), in questa transizione non si va da nessuna parte: occorrono politiche energetiche europee volte a favorire gli scambi dei surplus energetici da rinnovabili tra i vari paesi perché insieme ce la potremo fare, ma da soli, è molto molto più difficile.

Quali sono le sfide dell’eolico?

Come detto sopra l’eolico è un tassello fondamentale della transizione, ma… c’è ancora molto da fare anche qui – soprattutto a livello di “accettazione sociale”. C’è una sorta di vero e proprio astio nei confronti di queste tecnologie rinnovabili: deturpano il paesaggio (invece i capannoni industriali no? e le industrie petrolchimiche no?), i materiali con cui sono fatte non sono riciclabili (e questo non è ormai più vero e ancora: invece un centro commerciale abbandonato è “riciclabile”?) e via così, con un florilegio di pregiudizi e di “sentito dire” che purtroppo denuncia la percezione che una larga fetta dell’opinione pubblica ha su quello che dovrebbe essere deputato al salvataggio della vita sulla Terra per le generazioni a venire. Quindi la prima sfida – nella quale anche il fotovoltaico si trova coinvolta – è questa: l’accettazione sociale a cui dovrebbe accompagnarsi un impianto legislativo e normativo fatto bene che ne regolamenti la diffusione, l’installazione, ecc. Da un punto di vista invece strettamente tecnologico, la vera sfida è la costruzione di impianti eolici off-shore (vale a dire: in mare): il Mediterraneo si presta solo in certe zone a questo tipo di impianti e inoltre, per avere un minore impatto costruttivo, dovrebbero essere galleggianti. La cosa, come possiamo anche solo immaginare da non esperti, è una vera sfida perché le condizioni del mare possono cambiare molto e anche molto repentinamente, ma questa, insieme ad altre tecnologie, potrebbe senz’altro darci una mano per imboccare una via energetica più virtuosa dell’attuale.

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