L’esaurimento delle risorse e le renne dell’isola di San Matteo

Ciò che sorprende dello studio legato al depauperamento delle risorse naturali è la constatazione di quanto questo aspetto abbia poca visibilità sui media. Mentre veniamo – e per fortuna! – costantemente martellati ormai sulla questione climatica e su quanto l’Umanità abbia delle responsabilità importanti su questo (al punto che una nuova era è stata definita dagli studiosi, quella dell’Antropocene), nulla o quasi viene detto sull’irresponsabile uso che la nostra società fa dell’energia.

Sarà che l’energia è un concetto tanto importante quanto fuggevole, ma, nonostante il rapporto tra il clima (e il suo cambiamento repentino) e la smodata combustione di energia fossile sia piuttosto evidente, dell’uno si parla e dell’altro no. Uno dei motivi è che l’energia tende a essere visto come un argomento scomodo e soprattutto senza una soluzione facile da attuare. Non che mitigare gli effetti sul clima abbia un modo semplice per essere gestito, ma almeno si intravvedono all’orizzonte delle possibili soluzioni, anche se scomode, come dover cambiare il nostro stile di vita.

Un esempio sull’energia – da intendersi qui nell’accezione più generale del termine e, in primis, quella di base: il cibo – può aiutarci a comprendere la situazione nella quale, come umanità, ci siamo cacciati. Questo aneddoto è una storia vera, una cosa accaduta realmente.

In piena seconda guerra mondiale, nel 1944, la Guardia Costiera statunitense decide di colonizzare temporaneamente un’isola remota, uno “scoglio” che aveva acquisito, nella contingenza del conflitto in corso, una importanza strategica legata alla sua posizione: nel mezzo del mare di Bering questa roccia di 357 km quadrati costituiva un punto strategico alla navigazione della marina militare. Decisero così di inviare un contingente di uomini: tecnici che montassero le apparecchiature, soldati che difendessero la posizione e, in via cautelativa… 29 renne. La cautela era d’obbligo: la guerra non sia sapeva che piega avrebbe preso e anche solo le condizioni climatiche proibitive (siamo pur sempre a latitudini quasi artiche) avrebbero potuto impedire i rifornimenti di viveri necessari.

Le cautele si rivelarono inutili: la guerra finì qualche mese dopo, gli uomini smontarono tutte le apparecchiature, una nave arrivò a prenderli e le renne, in un habitat a loro congeniale, furono liberate dal recinto e il mondo si dimenticò di loro fino al 1957, quando un gruppo di ricercatori visitò l’isola. Fecero una sommaria conta delle renne. Quante ne trovarono? Circa 1.350. L’ambiente favorevole e la totale assenza di predatori permisero alla popolazione un enorme sviluppo. Tutte erano in buona salute. Nel 1963 i ricercatori tornano di nuovo sull’isola e, ancora una volta, fanno una stima della popolazione. Nel giro di 6 anni la popolazione era passata da 1.350 a 6.000 capi. Il cibo “di qualità” (i licheni) per tutti cominciava a scarseggiare e quindi gli animali mangiavano l’erba, meno nutritiva. Ma il tasso di rigenerazione di una risorsa per sua natura rinnovabile (erba e licheni) era, data la popolazione, inferiore a quello con cui la risorsa stessa veniva consumata. Nel 1966 i ricercatori tornarono per la terza volta e non fu difficile fare la conta: le renne sopravvissute erano 42, di cui 41 femmine e 1 solo maschio. In capo a soli 3 anni le renne morirono tutte di fame e, possiamo suppore, tra indicibili sofferenze. Chi rimase faceva vita grama e la popolazione si estinse definitivamente intorno ai primi anni ’80. È facile immaginare che l’isola di San Matteo sia la Terra: nulla arriva “da fuori” e possiamo far conto solo quel che il Sole ci assicura attraverso l’irraggiamento. Noi siamo le renne: da lungo tempo abbiamo sconfitto gli eventuali “predatori naturali” – e in questo si comprendono anche i virus e i batteri che nei secoli passati hanno decimato la popolazione mondiale – ma le risorse energetiche e minerarie che abbiamo (identificabili con il cibo delle renne), siano esse rinnovabili o non rinnovabili, non sono infinite. Come abbiamo visto, se sfruttate troppo intensamente anche le risorse rinnovabili si trasformano in non rinnovabili. La questione climatica è senz’altro fondamentale, ma nell’ordine delle priorità umane è probabile che questa possa arrivare dopo quella energetica, soprattutto se continueremo a consumare mediamente così tanto.

Luciano Celi – Istituto per i Processi Chimico-Fisici, CNR di Pisa e Socio di Semi di Scienza

(http://www.cnr.it/people/luciano.celi)

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