Progetto #FarmaCovid: Intervista al ricercatore e divulgatore Mario Tozzi

Il lancio del progetto #FarmaCovid e della campagna di crowdfunding attivata sulla piattaforma GoFundMe, è occasione di continue e proficue riflessioni scientifiche con ricercatori ed esperti che hanno fatto sentire il loro sostegno all’iniziativa. Si tratta di un approccio in cui la biofisica è maestra: mettersi in ascolto e in dialogo con disciplinarità diverse per avere una visione complessiva del problema e affrontarlo, così, da prospettive diversificate. E con questo approccio integrato e multi-prospettico, la ricerca di FarmaCovid ha avuto il privilegio di dialogare con Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico, che ha illustrato chiaramente la stretta relazione tra l’andamento della pandemia e il degrado ambientale.

Sono, infatti, ormai consolidate le connessioni tra zoonosi virali e globalizzazione, nonché il ruolo di parametri ambientali sui quali influiscono usi e costumi locali e la progressiva invasione da parte dell’uomo di spazi che nel passato erano territorio esclusivo di animali selvatici. Come afferma lo stesso Tozzi: “È difficile da accettare, ma anche la pandemia Covid-19 che ci ha messo in così grande sofferenza dipende dalle azioni scriteriate dei sapiens ai danni dell’ambiente. E non è la prima volta: il 70% delle malattie infettive emergenti deriva da un’interazione più o meno diretta fra animali selvatici, addomesticati e sapiens”. Nell’intervista che segue, attraverso le parole di Mario Tozzi, vedremo come si attiva questo ciclo disfunzionale nell’ambiente che genera ricadute così importanti sulla salute dell’uomo.

Possiamo pensare che all’origine del ‘salto di specie’ del virus dall’animale all’uomo vi sia un’alterazione degli equilibri ambientali?
“I cambiamenti di uso del suolo e l’intensificazione degli allevamenti intensivi amplificano i rapporti sapiens-fauna domestica-fauna selvatica. La deforestazione è il necessario preludio a queste attività, come dimostra il caso del virus Nipah (Malesia 1998), probabilmente legato all’intensificarsi degli allevamenti intensivi di maiali al limite della foresta, dove cioè si disboscava per ottenere terreni a spese dei territori di pertinenza dei pipistrelli della frutta, portatori del virus. Lo spillover (il salto di specie) viene favorito dove si impiantano allevamenti intensivi e monoculture, come le palme da olio, a spese della foresta tropicale, cioè proprio dove la fauna selvatica è più importante per numero di specie e di individui e dove, di conseguenza, i patogeni sono più presenti e importanti”.

Lo sfruttamento del suolo, della fauna e il sovraffollamento degli spazi sono una concausa nell’innesco e nella diffusione del virus?
“Gli animali selvatici scacciati dai loro habitat raggiungono le alte densità di umani delle aree urbane: più sapiens concentrati in areali ristretti vuol dire maggiore rischio di contagi. I nomadi cacciatori-raccoglitori di oltre 10.000 anni fa si ammalavano molto meno dei cittadini-agricoltori e non sviluppavano certo epidemie, dispersi com’erano nel territorio e con numeri inferiori. A questo va aggiunta la straordinaria rapidità dei collegamenti internazionali: qualsiasi vivente si sposti, porta con sé tutto il suo corredo microbico”.

L’uomo è quindi da considerarsi artefice inconsapevole della pandemia che ci ha colpiti?
“Il commercio illegale di animali selvatici vivi e di loro parti del corpo – nel caso di Sars-Cov-2 il pangolino cinese, le scaglie della cui ‘corazza’ lo rendono ambito dai bracconieri – è veicolo per vecchie e nuove zoonosi, aumentando il rischio di pandemie: non è la prima volta che si sospetta che l’ospite intermedio di una malattia infettiva sia un animale vivo venduto in un mercato cinese.
Tutto questo porta a inevitabili spillover e ricade sotto la nostra responsabilità. Con la distruzione delle foreste distruggiamo anche il nostro naturale antivirus più efficace. Infine, sta iniziando a essere inquadrabile scientificamente proprio in questi giorni un legame diretto fra diffusione del virus e particelle di condensazione atmosferiche, in pratica l’inquinamento dell’aria. Non sfuggirà certo che la provincia di Hubei è una regione estremamente degradata dal punto di vista della qualità ambientale in generale e dell’aria in particolare, cosa che favorisce virus e malattie respiratorie”.

In conclusione pregiudicando l’ambiente stiamo compromettendo le efficaci “barriere” che ci proteggono da virus potenzialmente letali, ma possiamo sperare in un aiuto dalle ricerche di nuovi farmaci contro questo ed eventuali futuri virus?
“Sono indubbie le potenziali sinergie tra le ricerche per la protezione dell’ambiente e su farmaci utili a fronteggiare possibili attacchi di nuovi virus. Si favoriscono così meccanismi vantaggiosi in primo luogo per anziani e persone fragili a seguito, per esempio, di patologie dell’apparato respiratorio. Infatti condizioni ambientali ottimali consentirebbero di avere una popolazione in migliori condizioni fisiche e quindi capaci di rispondere meglio a possibili futuri attacchi di microrganismi ostili a cui l’uomo non è mai stato esposto in precedenza, come è il caso di Sars-Cov-2.”

Il ricercatore e divulgatore Mario Tozzi ci ha fatto riflettere sulle responsabilità dei sapiens nella diffusione globale della pandemia Covid-19, ma allo stesso tempo sappiamo che, dall’intuito e dalle ricerche dell’uomo, possono derivare anche importanti soluzioni, come una cura efficace e definitiva: a questo punta il progetto #FarmaCovid e su questo lavorano i ricercatori dell’Istituto di biofisica del CNR e dell’ICGEB di Trieste.

Giugno 18, 2020

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