Il calendario è donna

Qua e là, nelle testimonianze preistoriche, ogni tanto si scorge la presenza femminile. Da un paio di decenni a questa parte i ritrovamenti archeologici vengono interpretati in modo più articolato ed emerge il ruolo della Donna, ma cosa possono dirci i calendari del paleolitico?

Recenti scoperte in Africa meridionale hanno rivelato che l’uomo faceva uso di pigmenti, perline, incisioni e sofisticati strumenti in pietra e osso ben 75.000 anni fa. Ma la produzione di questi artefatti sembra sparire 60.000 anni fa, suggerendo che questo comportamento “moderno” è apparso per poi svanire prima di consolidarsi. Probabilmente un cambiamento climatico causò la diminuzione o la mancanza di popolazione e conseguenti alterazioni nei meccanismi di trasmissione culturale. Qualunque sia la ragione, questo evidenzia importanti discontinuità nella trasmissione culturale. La ripresa avverrà molto più tardi. L’analisi dei manufatti organici trovati sempre in Africa mostra come gli abitanti della prima età della pietra solo 40.000 anni fa, ripresero a usare nuovamente ossa, bastoni da scavo in legno e punteruoli. Ma c’è qualcosa di diverso. Infatti su questi oggetti compaiono quelle che sembrano notazioni. E alcuni reperti suggeriscono che la luna fosse usata per misurare il tempo.

L’osso di Lebombo

Uno dei più antichi manufatti matematici conosciuti è una fibula di un babbuino, trovata nella Border Cave sulle montagne Lebombo (tra il Sud Africa e lo Swaziland). Fu scoperto negli anni ’70 ed è stato inizialmente datato al 35.000 a.C. Il fatto che si supponga fosse uno strumento matematico è dovuto alla presenza di 29 incisioni. Visto che il periodo sinodico della Luna (il tempo trascorso tra due successivi noviluni, Fig. 1) è di circa 29 giorni, il numero delle tacche fa supporre che potrebbe essere stato usato come contatore per le fasi lunari… ma non solo: le nostre antenate potrebbero essere state le prime matematiche poiché per tenere traccia dei cicli mestruali avrebbero potuto efficacemente utilizzare questo tipo di calendario. La grotta dove è stato compiuto il ritrovamento era abitata nel Paleolitico; trattandosi di materiale organico è possibile la datazione con il metodo del radiocarbonio che ne conferma l’antichità, con un’età compresa tra i 43-44.000 anni. Le 29 tacche dell’osso suggeriscono che “potrebbe essere stato usato come calendario lunare”, ma… l’osso è rotto a un’estremità, quindi le 29 tacche potrebbero essere o meno il numero totale (Fig. 2).

Fig.1 – La Luna (foto di Ottaviano Zetta). Se il Sole è l’oggetto più luminoso di giorno, la Luna è quello più brillante del cielo notturno. Mentre il Sole è sempre uguale a stesso (non suggerisce alcun divenire), la Luna è un corpo celeste che oltre a sorgere e tramontare, cambia di dimensione, cresce, diviene piena, cala per poi sparire. Per tre notti il cielo resta senza luna, ma questa scomparsa è seguita da una rinascita. Così, la Luna può essere percepita come il corpo celeste dei ritmi vitali e lo scorrere del tempo, e di questa “forse” possiamo trovare traccia nei più antichi reperti.
Fig.2 – L’osso di lebombo, una fibula di un babbuino con 29 tacche scoperta in Sud Africa, risale tra 44.200 e 43.000 anni fa. È il più antico artefatto matematico del mondo, si pensa che sia un calendario lunare e potrebbe anche riguardare le mestruazioni.

L’osso di Blanchard

I pezzi d’osso intagliati e incisi dell’arte paleolitica attirarono l’interesse del giornalista paleontologo Alexander Marshack. Fu uno dei primi ricercatori ad analizzare questi reperti e darne un’interpretazione astronomica nel suo celebre libro The Roots of Civilization. Marshack aveva notato che vari oggetti del Paleolitico e del Mesolitico, per lo più piccoli e portatili, recavano serie di punti o linee incise o dipinte e non davano l’idea di essere semplici decorazioni ma potevano sembrano primitive annotazioni. Le sue argomentazioni si basavano non solo sul conteggio dei segni ma anche su “un’analisi microscopica”. Ipotizzò che queste tracce fossero correlate al movimento lunare. Il reperto più noto fu ritrovato ad Abri Blanchard (Dordogna, Francia), da cui prese il nome. L’osso di Blanchard contiene una serie di segni intagliati che seguono un percorso a serpentina. A Marshack sembrava improbabile che qualcuno avesse ideato questo motivo a scopo puramente decorativo. Invece, poteva essere una forma di notazione e, come annotazione, avrebbe potuto rappresentare qualcosa di mutevole come le fasi della luna. Le loro forme ricordavano abbastanza bene le fasi lunari. E le 62 incisioni potevano rappresentare un calendario lunare di due mesi circa. L’interpretazione data attirò diverse critiche. Una di queste è dovuta all’uso del microscopio per esaminare il manufatto. La sequenza di segni microscopici, o “graffi invisibili” come ebbe occasione di chiamarli uno dei detrattori, è osservabile solo sotto ingrandimento e quindi non potevano essere visti dalle persone che li hanno realizzati. Certamente l’analisi al microscopio è un esame consolidato per studiare nel dettaglio la tecnica d’incisione, ma il fatto stesso che debba essere usato, in luogo dell’occhio nudo, anche per apprezzare le differenze dei segni incisi rese l’ipotesi lunare poco plausibile. Marshack trovò su vari utensili notazioni riconducibili alle fasi lunari, ma il fatto che non esistesse un singolo esemplare non fermò i suoi detrattori, che giunsero a sostenere che qualsiasi annotazione numerica poteva essere spiegata con un fenomeno astronomico. La critica formulata da chi osteggiava l’ipotesi del calendario lunare è riassumibile in una semplice domanda: sono possibili altre interpretazioni? Senza dubbio sì: potrebbero essere il numero di cervi cacciati o delle pelli possedute, delle persone della tribù. La teoria delle fasi lunari, sebbene affascinante, sarebbe troppo speculativa per essere vera (Fig. 3).

Fig.3 – A) Osso di Blanchard (28.000 a.C.), rinvenuto nel riparo roccioso di Blanchard in Dordogna (Francia). B) Schema delle incisioni che assumono forme che ricordano le fasi lunari. C) Dettagli. L’osso presenta delle incisioni semilunate (la più grande di mm. 1,7; una delle più piccole di mm. 0,5) le cui differenti forme richiedono lente d’ingrandimento e/o microscopio binoculare per essere apprezzate nella loro varietà.

Le Veneri di Laussel

Alla fin fine, le incisioni sulle ossa, sebbene frequenti, restano di difficile interpretazione. Se è arte, allora è quantomeno un’arte matematica. Ma quando si prova a collegarle con l’ambiente la connessione è labile e sempre difficile da dimostrare. Siamo sinceri, per convincersi della bontà dell’ipotesi lunare, qualcuno vorrebbe un documento scritto, letteralmente impossibile per il paleolitico! Ma se è impensabile trovare una traccia scritta, potrebbe esserci un’altra forma di testimonianza grafica. Nel sito archeologico di Abrì Laussel a Marquay in Dordogna (Francia) nel 1911 Jean-Gaston Lalanne, un medico con la passione per l’archeologia, stava conducendo degli scavi, quando trovò una serie di immagini femminili scolpite nella roccia, oggi note come Veneri di Laussel. La prima a essere scoperta è la Venere con il corno, un’immagine di Donna che ricorda molto le statue di figure femminili anche loro note come “Veneri” del Paleolitico. Tra le più famose c’è la Venere di Willendorf scolpita durante il Paleolitico superiore europeo, circa 30.000 anni fa e scoperta in Austria nell’omonima cittadina. Si ritiene che sia una figura di fertilità, un portafortuna totem, un simbolo della dea madre (Fig. 4).

Fig.4 – La Venere di Willendorf (28.000 a.C.) è stata trovata in un sito paleolitico vicino Willendorf. A fianco la Venere con il corno di Laussel (23.000 a.C.). Entrambe recano tracce di pittura con ocra rossa.

La parte superiore del busto sottile con seni esagerati, glutei e cosce grandi, un grande stomaco (probabilmente a causa della gravidanza) e gambe corte stranamente piegate, che terminano con piccoli piedi, sono caratteristiche simili ad altre veneri. Statuette femminili, come Venere di Willendorf e Venere di Laussel, recano ancora le tracce di ocra rossa. Rosso, come il sangue del flusso mestruale. Una recente teoria antropologica detta “metaformica” afferma che la moderna cultura materiale è radicata in antichi rituali mestruali, chiamati “metaformi”. Le metaforme sono rituali, riti, miti, idee o storie creati per contenere conoscenze emergenti relative alle mestruazioni. Anche la Venere di Laussel mostra la stessa forma del corpo con il punto più largo all’addome e gli organi riproduttivi femminili esagerati, ma, mentre la Venere di Willendorf tiene pudicamente le mani sul seno, la Venere di Laussel mostra con orgoglio un corno, o forse qualcosa di più evoluto come un calendario luni-solare vista la presenza di tredici segni. Infatti, visto il periodo sinodico lunare, di poco inferiore alla durata del mese (29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,9 secondi), sono possibili 13 noviluni in un anno. Con l’altra mano, invece, come a indicare la relazione tra i cicli lunari e quelli mestruali, indica la vagina (Fig. 5).

Fig.5 – La Venere con il corno di Laussel, con un dettaglio del corno che sostiene nella mano destra, dove sono incise 13 tacche. Mentre la mano sinistra indica gli organi riproduttivi femminili.

Questa venere non è l’unica figura femminile ritrovata nel sito, ma è la meglio conservata. Nella stessa località sono state trovate altre figure femminili: la Venere di Berlino e la ”Femme a la Tete Quadrillée”. La Venere di Berlino è così chiamata perché fu venduta nel 1912 da un operaio infedele al Museum für Völkerkunde di Berlino che adesso ne espone il calco, poiché probabilmente distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Mentre la ”Femme a la Tete Quadrillée” è un bassorilievo di una donna con la testa completamente ricoperta da un copricapo a rete, rappresentazione forse di una rete o di un fazzoletto molto simile a quello indossato dalla Venere di Willendorf. Entrambe tengono in mano un corno o un osso che potrebbe essere un calendario luni-solare e potrebbero essere parte di un’unica opera d’arte. La scena ricostruita dell’Abri Laussel data dall’archeoastronomo Michael Rappenglueck mostra tre donne incinte, ognuna con un corno in mano e potrebbero essere la rappresentazione di tre madri interessate a determinare la data del parto. Così, se le ossa istoriate sono di difficile comprensione, la Venere di Laussel ci sembra poter dirimere la questione, mostrandone anche l’utilizzo. Inoltre, il fatto che la Venere con il corno tenga in mano un calendario luni-solare nel quale sono chiaramente visibili 13 tacche fa supporre che già intorno al 23.000 a.C. si stessero ponendo le basi per un calendario in cui l’anno solare era composto da 12/13 mesi lunari (Fig. 6).

Fig.6 – La ricostruzione fatta da Michael Rappenglueck delle Veneri di Laussel.

Conclusioni

Le immagini di figure femminili ritrovate ad Abri Laussel confermerebbero l’utilizzo di dispositivi portatili, quali ossa o corni, simili a calendari, segnando un punto a favore per il famoso e criticato scrittore Alexander Marshack. Come si evince dalle 13 tacche presenti sul corno nel paleolitico si stavano mettendo le basi di un calendario solare di 13 “Lune”. D’altronde oggi, come allora, la nostra vita è scandita da tre cicli astronomici: la rotazione della Terra che determina il giorno, l’alternarsi delle fasi lunari che hanno preso la forma del mese e la rivoluzione del nostro pianeta intorno al Sole che determina l’anno. Inoltre la rappresentazione del trittico di Laussel ci offre una figura femminile irrituale e, probabilmente, più reale! Le figure di Abrì Laussel, a differenza delle statuine di veneri paleolitiche, non sono totem o rappresentazioni della Dea Madre bensì immagini di una donna con un ruolo. L’elemento cardine è l’oggetto che tiene in mano e la figura femminile adempie un ruolo, oltre a offrirci un collegamento tra il calendario luni-solare, che è il compito di madre mostrato con la mano libera indicante gli organi riproduttivi. Può essere visto come un‘immagine di vita quotidiana nella quale le donne stanno utilizzando uno strumento (il calendario) per prepararsi all’evento della nascita; non è un‘immagine divina, ma di una persona. La donna con il calendario ci offre l’immagine di una Donna proiettata nel futuro e il riconoscimento del ruolo femminile nel paleolitico inizia a essere accettato anche dalla comunità scientifica, gettando luce sull’altra metà del cielo.

Autore: Alberto Cora INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica

Bibliografia:

1972 – Alexander Marshak – The Roots of Civilization;

1993 – Iain Davidson (1993) – ARCHEOLOGY: The Roots of Civilization: The Cognitive Beginnings of Man’s First Art, Symbol and Notation. Alexander Marshack. December 1993 American Anthropologist 95(4);

1999 – M. A. Rappenglück – Palaeolithic Timekeepers Looking at the Golden Gate of the Ecliptic; The Lunar Cycle and the Pleiades in the Cave of La-Tête-du-lion (Ardèche, France) — 21,000 BP – Earth, Moon, and Planets volume 85, pp. 391–404(1999);

2009 – L. Wadley, T. Hodgskiss and M. Grant – Implications for complex cognition from the hafting of tools with compound adhesives in the Middle Stone Age, South Africa – Proceedings of the National Academy of Sciences Jun 2009, 106 (24) 9590-9594;

2012 – F. d’Errico, L. Backwell, P. Villa, I. Degano, J.J. Lucejko , M. K. Bamford , T. F. G. Higham, M. P. Colombini and P B. Beaumont – Early evidence of San material culture represented by organic artifacts from Border Cave, South Africa – Proceedings of the National Academy of Sciences Aug 2012, 109 (33) 13214-13219.

Gennaio 29, 2021

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