Lo spreco alimentare: analisi di un fenomeno complesso e sottostimato

Per spreco alimentare si intende lo scarto volontario di cibo ancora adatto al consumo umano, che può verificarsi in tutte le fasi di produzione, dalla raccolta in campo al frigorifero domestico. Nella società odierna, lo spreco alimentare ha assunto proporzioni impressionanti. I dati parlano molto chiaramente. Secondo le statistiche della FAO (l’organizzazione dell’ONU che si occupa di agricoltura ed alimentazione) ogni persona che vive nei paesi industrializzati scarta mediamente dai 95 ai 115 kg all’anno, che equivale ad oltre 1/3 del cibo prodotto nel mondo. Questo è un grande paradosso dei nostri tempi, soprattutto se pensiamo che attualmente oltre 800 milioni di persone nel mondo soffrono di denutrizione, mentre oltre 600 milioni sono affette da obesità. Inoltre, negli ultimi anni il divario tra il numero di persone sottonutrite e quelle in sovrappeso sta aumentando sempre di più, a dimostrazione della perversità del fenomeno. Nello spreco alimentare occorre non considerare solo il cibo, ma anche tutte le risorse necessarie per produrlo come acqua, suolo, lavoro umano (sia manuale che organizzativo) e macchine agricole. Bisogna poi aggiungere l’inquinamento ambientale causato dai fertilizzanti, pesticidi e gas serra emessi dalle machine agricole.

A causa dell’impatto negativo dello spreco alimentare nel mondo, numerose ricerche sono state condotte per capire quali sono le principali cause risalenti a questo fenomeno. Secondo i dati della FAO, gli sprechi nelle fasi della filiera ammontano alle seguenti percentuali: coltivazione e raccolto=54%, trasformazione industriale=11%, distribuzione e vendita=13%, consumo domestico=22%. Analizziamo le fasi una per una:

1) Coltivazione e raccolto. Durante questa prima fase le piante in campo sono continuamente esposte a molti fattori che possono danneggiarle o addirittura eliminarle (siccità, piogge eccessive, grandine, insetti dannosi, funghi e virus). A tutto questo si aggiunge l’intervento dell’agricoltore, che può commettere errori nelle sue scelte gestionali (semina nel periodo sbagliato, concimazioni carenti, irrigazioni inadeguate, trattamenti antiparassitari eseguiti scorrettamente, etc.). Tutti questi fattori contribuiscono ad uno spreco alimentare di primo livello.

2) Trasformazione industrial. Durante questa fase i prodotti raccolti sono trasportati dal campo alle fabbriche per essere processati e trasformati. Può accadere che, a causa di inefficienze nei processi di lavorazione e malfunzionamenti tecnici, gli alimenti subiscano variazioni che diminuiscono o annullano la loro qualità commerciale, causandone lo scarto. Variazioni nella forma, nel peso e nel confezionamento, sebbene non influenzino la sicurezza igienico-sanitaria, bastano comunque a rendere un prodotto alimentare non conforme agli standard qualitativi richiesti dal mercato.

3) Distribuzione e vendita. L’aumento dell’urbanizzazione dell’ultimo secolo ha portato all’allungamento della filiera alimentare, causando inevitabilmente anche l’allungamento dei tempi di trasporto e distribuzione. Questo comporta una maggiore probabilità di deperimento organico o diminuzione di qualità degli alimenti, rendendoli più suscettibili allo scarto. C’è inoltre da considerare la comparsa massiccia della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) il cui comportamento contribuisce non poco. Infatti la GDO spesso stipula contratti molto rigidi con i propri fornitori, richiedendo standard qualitativi troppo elevati, che molti prodotti non rispettano. La gestione degli scaffali non è da meno dato che, per motivi di immagine, vengono tenuti sempre pieni, e molta della merce raggiunge la data di scadenza prima di venire acquistata.

4) Consumo domestico. In questa fase la responsabilità è esclusivamente del consumatore con i suoi comportamenti. Per diversi motivi le persone tendono a comprare cibo vicino alla data di scadenza (spesso più economico) ma che poi non viene effettivamente consumato. C’è poi la tendenza a riempire eccessivamente le portate nei piatti durante i pasti, il mancato rispetto delle indicazioni sulle modalità di conservazione e l’errata gestione della spesa settimanale.

Fortunatamente diverse ricerche indicano che gli sprechi alimentari stanno diminuendo negli ultimi anni. Tale tendenza è dovuta in parte alla maggiore consapevolezza al problema ed in parte all’avvento della crisi economica, che ha modificato i nostri stili di vita. Questo dato, seppur incoraggiante, non basta certo a risolvere il tutto. Infatti entro il 2050 la popolazione mondiale arriverà a circa 10 miliardi di persone (Dati ONU). Ciò significa che non possiamo permetterci di buttare via il cibo prodotto con le sempre più scarse risorse del pianeta. Alla luce di questo, cosa può fare ognuno di noi, nel suo piccolo, per ridurre gli sprechi alimentari? La risposta sta nei nostri comportamenti e nelle nostre abitudini. Elenchiamo alcune possibili soluzioni.

  1. Smettere di richiedere standard di qualità eccessivi. I supermercati non accettano molti prodotti alimentari ancora buoni, ma che per varie ragioni, prevedono che rimarranno invenduti. La ragione sta nel fatto che il consumatore medio non li acquisterà, a causa delle sue richieste di qualità eccessive. Diciamoci la verità, quante volte vi è capitato al supermercato di non comprare una mela solo perchè leggermente butterata? Oppure di storcere il naso di fronte ad uno scaffale con insalata un pochino imbrunita?
  2. Incentivare i sistemi produttivi a filiera corta. In questi sistemi gli sprechi alimentari sono nettamenti minori, a causa della riduzione dei passaggi tra produzione e consumo. Alcuni esempi di filiere corte sono: la vendita diretta in azienda, i gruppi di acquisto solidali (GAS) e i mercati contadini. Questi sistemi, oltre a ridurre gli sprechi alimentari, forniscono vantaggi sia per i produttori che per i consumatori. Gli agricoltori, evitando il monopolio della grande distribuzione, possono decidere i prezzi di vendita con maggiore autonomia, mentre i consumatori sanno di acquistare prodotti sani e di alta qualità. Tutto questo rafforza il rapporto di fiducia tra entrambi gli attori della filiera.
  3. Migliorare le abitudini di gestione della spesa domestica. In questo caso occorre incoraggiare le persone ad adottare comportamenti adeguati. Questo può essere fatto attraverso campagne di informazione sia a livello locale che nazionale (iniziative di educazione nelle scuole, campagne mediatiche di pubblicità progresso e seminari informativi).

Ricapitolando, la buona notizia è che le soluzioni ci sono, sebbene non immediate e di semplice attuazione, ma d’altra parte un famoso Premio Nobel disse una volta:

“Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice, ed è quella sbagliata” George Bernard Shaw

Simone Rossi, PhD., Agronomo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *